Il caso di specie riguarda una coppia di coniugi. La moglie, con problemi di fertilità, si rivolgeva ad un centro sanitario ove veniva affidata alle cure di due medici che iniziavano un protocollo avente ad oggetto la somministrazione di un medicinale denominato Clomid. Dopo alcuni mesi di terapia, interveniva lo stato di gravidanza ed un medico dell’equipe che seguiva la signora decideva, a questo punto, di sospendere la cura in atto e di prescrivere un’altra terapia.
Al termine della gestazione, la donna partoriva un bambino che presentava gravissime malformazioni. Veniva fin da subito escluso che le malformazioni di cui era affetto il neonato fossero di origine ereditaria; pertanto le stesse venivano attribuite alla somministrazione dei farmaci oggetto del protocollo cui si era sottoposta la donna.
Il caso in analisi, dopo esser stato vagliato dal Tribunale di Napoli ed in seconda istanza dalla Corte d’Appello con condanna dei due medici, è stato sottoposto al controllo di legittimità su ricorso dei medici condannati. La Suprema Corte, con la sentenza 11 maggio 2009, n. 17941 ha confermato la condanna dei due medici al risarcimento del danno in favore dei genitori del bambino.
Due sono i punti cardine su cui si soffermano gli Ermellini:
a) la violazione dell’obbligo di una corretta informazione (“consenso informato“), in relazione alla potenzialità dannosa del farmaco in questione, comporta consistendo in un dovere di comportamento, il risarcimento del danno ( come affermato anche dalle Sezioni Unite sent. 26724/2007). I medici curanti dovevano essere a conoscenza dei rischi che il farmaco comportava per le donne in gravidanza. Gli stessi, pertanto, sono colpevoli per non aver reso edotta la futura mamma di tali complicanze, la cui conoscenza avrebbe consentito ai coniugi di valutare appieno la scelta di fare o non fare uso di tali farmaci per indurre l’ovulazione.
b) La soggettività giuridica del nascituro e, di conseguenza, il nesso di causalità tra il comportamento dei medici e le malformazioni del nascituro stesso, il quale, con la nascita, ha acquistato l’ulteriore diritto al risarcimento.
La Corte precisando la nozione di soggetti giuridici, li definisce come i titolari di interessi protetti ed il nascituro o concepito risulta dotato di una autonoma soggettività giuridica, in quanto titolare di alcuni interessi personali in via diretta: il diritto alla vita, il diritto alla salute o integrità psico-fisica, il diritto all’onore o alla reputazione, il diritto all’identità personale, rispetto ai quali l’avverarsi della conditio iuris della nascita ex art. 1, 2° comma, c.c. è condizione imprescindibile per la loro azionabilità in giudizio ai fini risarcitori.
A questo punto, la Corte afferma ulteriormente come nella diversa fattispecie in cui sia nato un bambino malformato a causa della omissione informativa dei medici, che ha impedito alle gestante di interrompere la gravidanza non può riconoscersi un risarcimento anche nei confronti del nascituro poi nato con malformazioni, oltre che nei confronti della gestante-madre; ciò perché, in base alla giurisprudenza di questa Corte non è configurabile nel nostro ordinamento un “diritto a non nascere se non sano“. Lo prevede la legge n° 194/1978, sull’interruzione volontaria di gravidanza, e in particolare gli artt. 4 e 6 nonché all’art. 7, 3° comma, che stabiliscono la possibilità di interrompere la gravidanza nei soli casi in cui la prosecuzione o il parto comportino un grave pericolo per la salute o per la vita della donna (deve escludersi nel nostro ordinamento il c.d. aborto eugenetico). Il concepito, poi nato dunque, non potrà avvalersi del risarcimento del danno perché la madre non è stata posta nella condizione di praticare l’aborto. Tale diversa soluzione non è in contrasto con la tutela riconosciuta al nascituro, quale soggetto giuridico e non presenta profili di incostituzionalità per quanto affermato anche dalla Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 27/1975, secondo cui, pur sussistendo una tutela costituzionale del concepito, deducibile dagli artt. 31, 2°comma, e 2 Cost., gli interessi dello stesso possono venire in collisione con altri beni anch’essi costituzionalmente tutelati, considerati prevalenti.
Si deduce dalla pronuncia in oggetto quindi, che il medico che danneggia il feto è tenuto al risarcimento dei danni provocati, ma non è tenuto al risarcimento nel diverso caso in cui non abbia avvisato i genitori in merito alle malformazioni del feto così impedendo la scelta dell’interruzione volontaria della gravidanza.
In tale ultima eventualità, soltanto la madre sarà risarcita, essendo stato violato il suo diritto a decidere liberamente se interrompere o meno la gravidanza. (V.R.)
Il testo è tratto da cassazione.net