Si comincia a parlare di unione civile e assegno di mantenimento. Le unioni civili (unioni tra persone dello stesso sesso) sono ancora in un certo senso una novità. Per questo i casi in cui le parti di un’unione civile si separano sono ancora pochi.
In realtà, dire “si separano” non è corretto. Nell’unione civile, infatti, non esiste la separazione, ma le parti divorziano direttamente.
Si parla, in questo caso, di scioglimento dell’unione civile, ma la sostanza è la stessa del divorzio.
Questa è una incongruenza del nostro sistema. Due coniugi in senso tradizionale devono prima separarsi per poter poi divorziare.
Le parti dell’unione civile, invece, possono sciogliere il loro legame con maggiore semplicità, senza cioè la fase intermedia della separazione.
Ma vediamo se la parte dell’unione civile può ottenere un assegno di mantenimento dall’ex partner più abbiente.
La risposta è sì.
All’unione civile si applica, infatti, la legge sul divorzio che prevede il diritto all’assegno per il coniuge più debole.
A voler essere precisi, si deve parlare non di assegno di mantenimento, bensì di assegno divorzile. E, attenzione, la differenza è importante perchè diverse sono le regole per assegno di mantenimento e assegno di divorzio.
La parte dell’unione civile che intende ricevere l’assegno il sostegno dovrà, dunque, verificare preliminarmente se ci siano le condizioni per l’assegno divorzile; dovrà fare, cioè, la stessa verifica che si consiglia al coniuge richiedente l’assegno divorzile.
Dire quali sono queste condizioni non è certo facile, anche perchè la materia è stata oggetto di ripetuti interventi della Corte di Cassazione, proprio negli ultimi due anni.
Si sono succedute sentenze di orientamento diverso e per questo vi è stato un momento, fino all’estate del 2018, in cui non c’era più chiarezza.
Finalmente, nel luglio 2018 sono scese in campo le Sezioni Unite della Cassazione, che hanno chiarito le regole da seguire.
Ad ogni modo, la verifica circa l’esistenza dei presupposti per l’assegno dovrà essere svolta con il supporto di un avvocato non soltanto esperto ma anche molto aggiornato.
Bene, detto questo, e scendendo al concreto, che cosa occorre verificare?
Per dirla in breve, occorrerà guardare soprattutto ai seguenti aspetti:
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le condizioni economiche e patrimoniali di entrambe le parti
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la durata del matrimonio
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il contributo dato dalla parte più debole al patrimonio dell’altra
Un caso si è verificato pochi giorni fa, presso il Tribunale di Pordenone.
Due donne omosessuali che avevano convissuto dal 2013 e si erano unite civilmente nel 2016 (subito dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà) hanno domandato al Tribunale che la loro unione venisse sciolta.
Una delle due donne ha chiesto un assegno di mantenimento che le è stato accordato dal Giudice nell’ammontare di 350 euro mensili.
Il giudice ha ritenuto che la richiedente avesse diritto all’assegno avendo riscontrato l’esistenza della condizioni indicate sopra.
E’ stato, infatti, accertato uno squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle due parti, squilibrio dovuto alle scelte di vita compiute durante la relazione.
La durata dell’unione in realtà è stata interpretata in modo alquanto elastico, e in modo diverso da quanto avviene nei casi di divorzio tra coniugi.
Infatti, ai due anni di unione civile il giudice ha sommato i tre anni di convivenza precedenti. Questa scelta è stata spiegata con il fatto che le unioni civili non esistevano prima del 2016. Il giudice ha cioè ragionato come se l’unione fosse stata celebrata fin dal 2013.
Questa impostazione ha quindi consentito di considerare sussistente anche il terzo tassello, cioè il contributo dato dalla parte debole economicamente all’altra: fin dall’inizio della convivenza, infatti, la richiedente l’assegno aveva deciso di trasferirsi per “coltivare al meglio la relazione e trascorrere quanto più tempo possibile con la propria compagna, non comprimendo il tempo libero con le ore necessarie per il lungo trasferimento per almeno due volte al giorno”.
La decisione che vi ho portato ad esempio è in realtà un po’ creativa, cioè non applica con rigore assoluto le regole della legge; questo, tuttavia, è il segno dell’estrema attenzione della giustizia italiana per i diritti delle persone omosessuali che hanno trovato nella legge del 2016 un primo importante riconoscimento.