Sospetto ‘plagio’ del minore che rifiuta di incontrare il genitore

Scritto il 22 Ottobre 2007 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

La sentenza in esame permette di svolgere alcune riflessioni in merito alla responsabilità genitoriale ed ai diritti e doveri a questa collegati.
Marito e moglie si separano e la decisione di primo grado viene appellata da quest’ultima in ordine all’entità dell’assegno di mantenimento fissato dal tribunale. Il marito, allora, propone appello incidentale per ottenere l’affidamento esclusivo del figlio minore (o, in subordine, l’affidamento condiviso con collocazione del minore presso di sé).Nel corso del giudizio, il medesimo appellato chiede, altresì, l’audizione del minore, finalizzata ad indagare “con quale dei genitore intenda stabilmente convivere” nonché “le motivazioni alla base della sua scelta”.

Tale richiesta si rivelerà un’arma a doppio taglio. A sostegno delle proprie pretese, il padre produce infatti una serie di lettere scritte di proprio pugno dal minore, elencanti una serie di doglianze e pretese mancanze materne nei propri confronti (tra cui, ad esempio, critiche alle doti culinarie della madre). Proprio tali lettere destano i sospetti della Corte, in quanto:“più che lettere sembrano dei promemoria”. Non è tutto. All’esito dell’ascolto del minore da parte dei Servizi Sociali, emerge una singolare coincidenza tra le risposte fornite dal figlio e le tesi difensive del genitore, ciò anche in ordine al desiderio di “mandare via” la madre dalla casa coniugale, poiché alla stessa “avrebbero potuto provvedere i nonni”. La Corte ritiene allora che si sia realizzata una sorta di plagio del figlio ad opera del padre.

Stupisce, invero, la scelta di un termine così forte (il plagio era un delitto contemplato all’articolo 604 c.p., il quale stabiliva la pena della reclusione da 5 a 15 anni per chiunque sottoponesse “una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione”; la norma venne però dichiarata costituzionalmente illegittima nel 1981 in quanto contrastante col principio di tassatività, che impone al legislatore di formulare le norme penali in modo preciso, in modo da rendere possibile conoscere ciò che è penalmente lecito o vietato, circoscrivendo in limiti ben definiti l’attività interpretativa del giudice e garantendo al contempo i cittadini da possibili abusi). E’ probabile che, attraverso l’uso della terminologia de qua, la Corte abbia voluto sottolineare l’effetto negativo dell’evidente potere ed influenza esercitati dal padre sul figlio, così forti da fondare il legittimo sospetto che la libertà di autodeterminazione e le capacità di discernimento del minore ne siano uscite fortemente compromesse.
La Corte prosegue poi: “litigare per la collocazione del figlio, del quale è stato disposto l’affidamento condiviso, pone seri dubbi sull’idoneità dei genitori ad affrontare una simile forma di affidamento, che presuppone uno sforzo comune di entrambi diretto esclusivamente al raggiungimento del bene supremo del minore”.Con queste parole, i giudici bolognesi pongono l’accento su uno dei presupposti dell’affidamento condiviso che, sebbene ormai divenuta scelta privilegiata con l’entrata in vigore della legge n. 54/06, necessita comunque di una verifica riguardo all’effettiva possibilità e capacità per i separandi di cooperare concretamente nell’adozione di tutte quelle decisioni – fondamentali od anche secondarie – inerenti la vita dei figli minori. Nel caso di specie, la Corte ritiene che nessuno si preoccupi del bene del figlio, il quale, “sebbene minore pensa di poter essere capace di decidere del suo futuro e di giudicare sua madre”. I giudici intendono arginare sin da subito tale atteggiamento, che, ove supportato da una stabile collocazione presso il padre – il quale mai ha dimostrato di poter contenere e mediare le ostilità del figlio, anzi pare averlo supportato e addirittura “plagiato” verso atteggiamenti di sempre maggiore rigidità e chiusura emotiva nei confronti della madre – condurrebbe a far sentire il bambino “autorizzato a cancellare la figura materna”.L’istanza dell’appellato viene quindi rigettata, con conferma delle statuizioni del tribunale relative alla collocazione del minore presso la madre.

Mediante le suddette argomentazioni (a dir la verità un po’ scarne), i giudici di secondo grado hanno inteso evidenziare la necessità di contrastare la diffusione di una tendenza in voga tra la stragrande maggioranza dei separati o separandi, ovvero la propensione a far decidere direttamente i figli rispetto a questioni che dovrebbero restare circoscritte nell’ambito delle regole attraverso cui indirizzare i minori, liberandoli, oltretutto, dall’aggravio psicologico di mediare tra gli adulti. Riguardo a questo aspetto, sarebbe tuttavia necessario effettuare una distinzione, scindendo situazioni in cui si ha a che fare con bambini ancora piccoli, ai quali devono comunque essere fornite regole di vita stabili, necessarie ad una crescita serene ed equilibrata, rispetto a situazioni in cui siano coinvolti adolescenti. In simili casi, ci si trova infatti di fronte a soggetti che hanno comunque raggiunto un certo grado di maturità (pur variabile) ed una propria capacità di ragionamento che li conduce ad effettuare scelte precise e a prendere delle decisioni che andrebbero quantomeno ascoltate, ciò anche in conformità a quanto stabilito dalla Convenzione di New York (in base alla quale deve essere garantito al fanciullo capace di discernimento “il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa”,nonché“la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria…che lo concerne, sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato”, art. 12).

La vicenda in esame, riguardando un ragazzino di tredici anni, avrebbe probabilmente dovuto spingere i giudici, piuttosto che ad imporre al minore di vivere con la madre, ad indagare in maniera più approfondita le motivazioni alla base delle decisioni manifestate dal medesimo. Forse, più che esprimere un mero disappunto per la cucina materna, le doglianze del ragazzino avrebbero potuto essere indicative di un disagio più profondo, meritevole di essere considerato, senza per questo accostare drasticamente – se non impropriamente – la condotta del padre alla fattispecie penale di plagio, espunta dal nostro ordinamento circa trent’anni fa. (B.S.)

Sentenza tratta da: www.giuraemilia.it

Visualizza il testo integrale