Le questioni affrontate in questo decreto milanese (30.3.2010) solleticano la riflessione sul tema della corrispondenza tra incapacità legale di agire e capacità naturale del soggetto minorenne. Mentre, infatti, con il progredire dell’età il minore acquista sempre maggiore consapevolezza, con corrispondente accrescimento della sua capacità naturale, sul piano formale – statutario egli resta legalmente incapace di agire, fino al compimento del diciottesimo anno.
Tale discordanza tra “maturità naturale” e “maturità giuridica” rivela la sua importanza sostanziale nel momento in cui si tratta di assumere decisioni nell’ambito sanitario riguardo ad un adolescente o ad un minore ormai vicino al raggiungimento della maggiore età. Da un lato, infatti, si tratta pur sempre di un incapace (sul piano formale), dall’altro di un incapace legale consapevole, in grado cioè di esprimere una volontà cosciente.
Un punto è certo. L’alleanza terapeutica – come afferma correttamente il collegio lombardo – deve essere sempre ricercata tra medico e paziente; l’ atto medico non è più considerabile alla stregua di atto unilaterale, basandosi ogni decisione terapeutica sul rapporto dialettico tra medico e paziente.
E un principio come questo, ormai incrollabile, non può essere disatteso soltanto in nome della mancanza di un’etichetta, ovverossia la capacità legale di agire. Se, infatti, è vero che il diritto all’autodeterminazione, prerogativa costituzionale della persona, costituisce un caposaldo nel nostro ordinamento, questo deve valere anche riguardo a chi non abbia ancora tagliato il traguardo nominale della maggiore età.
L’art 2 Cost. parla della persona, l’art. 3 Cost. si riferisce allo sviluppo della personalità: è evidente, pertanto, che gli stessi non possono non venire riferiti anche al bambino e all’adolescente.
E poi vi è la ormai ben nota Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che attribuisce rilievo fondamentale (ed oggigiorno imprescindibile anche nell’ordinamento interno) all’ascolto del minore, all’ espressione della sua volontà, la quale – così è stabilito – deve essere tenuta in considerazione.
Il conseguimento della capacità di agire, allora, si stacca dal dato formale/anagrafico e si interfaccia, sempre di più, con il dato reale dello svilupo cognitivo del minore.
Tale realtà conduce poi ad un effetto non trascurabile sull’estensione della rappresentanza genitoriale, sul piano delle scelte sanitarie: non più cioè una sostituzione monolitica dei genitori (che prescinde cioè dall’effettivo grado di maturità del figlio) nella scelta terapeutica, ma il coinvolgimento del figlio stesso in essa.
Diversamente – vale osservare – si determinerebbe una disparità di condizione e di trattamento tra l’incapace naturale che sia beneficiario di amministrazione di sostegno, e il giovane infradiciottenne dotato della capacità cognitiva per decidere sulla scelta terapeutica, ma statutariamente impossibilitato ad esprimerla.