Ricchezza e follia non devono condurre all’interdizione (2 parte)

Scritto il 17 Dicembre 2009 in Amministrazione di Sostegno Dc-Interdizione e Inabilitazione

La Corte di appello di Venezia col provvedimento allegato riforma il decreto del 28 aprile 2009 (pubblicato su www.personaedanno.it con nota di A. BULGARELLI) emesso dal G.T. di Treviso col quale si era rigettato un ricorso per A.D.S. sulla base delle condizioni psico-fisiche dell’interessato, dell’obiettiva difficoltà gestionale del suo ingente patrimonio e dell’acclarato contrasto tra i familiari nel controllo di tale gestione.

Il decreto della Corte benchè solo scarnamente motivato è condivisibile nella sostanza. La scelta, infatti, tra l’ADS e le altre misure di protezione degli incapaci non può essere influenzata dall’entità del patrimonio del beneficiario, o dal tipo di attività da compiersi in suo nome e per suo conto.

L’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

L’entità del patrimonio non deve costituire di per sé solo il presupposto di uno strumento di tutela del soggetto in difficoltà più incisivo dell’ADS e nemmeno la complessità dell’attività da svolgersi nel suo interesse dovrebbe condurre a ritenere maggiormente idonea una pronuncia di status.

 

Non si comprende, infatti, per quale motivo un ingente patrimonio non potrebbe essere amministrato avvedutamente anche da un amministratore di sostegno dato che la sua “competenza” non prevede limiti di valore. Né si comprende per quale motivo il tutore o il curatore dovrebbero essere per definizione maggiormente preparati a svolgere un’attività complessa rispetto ad un amministratore di sostegno essendo evidente che ove la scelta sia stata oculata non vi potrà essere motivo di doglianza sulla capacità o professionalità dello stesso.

La dottrina preferibile condivisibilmente ritiene che il punto di partenza e di arrivo di ogni scelta in tema di misure di promozione e di protezione sia rappresentato dall’adeguatezza della protezione del soggetto disabile, unito alla minor limitazione possibile della (sua) capacità di agire.

A tal fine sarà dunque ben possibile ricorrere ad un’amministrazione di sostegno con un decreto a contenuto composito con previsione di ben precisi limiti di spesa mensile (così da prevenire i possibili atti depauperativi e ristretti spazi negoziali), pur conservando al beneficiario, per il resto, la piena capacità di agire (art. 409 c.c.) ed una certa autonomia contrattuale rispetto al mondo esterno.

In quest’ottica diviene pertanto assai importante prevedere l’esatto ambito della protezione di cui necessiti il soggetto e saper quindi ben ritagliare gli spazi di autonomia da lasciargli, ché ove si sia correttamente accertato quale sia il suo patrimonio, quali gli atti che potrebbero arrecargli danno e quale sia la sua residua capacità di relazionarsi con l’esterno ed il prossimo gli si potrà “confezionare” un’amministrazione di sostegno consona alle sue effettive necessità.

Si tratta quindi in definitiva solo di un problema di adeguatezza del provvedimento del giudice in un necessitato equilibrio tra l’effettiva protezione del beneficiario e la minor limitazione possibile della sua capacità.

Quali spazi di applicazione residuino per l’interdizione e l’inabilitazione rimane una domanda. (Andrea Bulgarelli)