Se il comportamento illecito del minore vicino alla maggiore età dimostra il fallimento educativo dei genitori, gli stessi sono civilmente responsabili dei danni cagionati dal figlio.
Le responsabilità dei primi vanno, infatti, ravvisate non in un difetto di vigilanza, data l’età del figlio, ma nell’inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da consentirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale.
È questa la decisione invero piuttosto rigida della Corte di Cassazione, che ha così rigettato il ricorso proposto dai genitori di un minore, reo di aver ucciso nel corso di una lite un ragazzo, i quali erano stati convenuti in giudizio dai familiari della vittima per ottenere il risarcimento dei danni subiti per la morte del proprio congiunto.
I ricorrenti lamentavano, innanzitutto, che la Corte d’Appello avesse loro imputato la responsabilità per il comportamento del figlio nonostante quest’ultimo fosse, al momento del fatto, ormai vicino al compimento della maggiore età e, pertanto, fosse ravvisabile un affievolimento dei loro oneri di genitori.
Rilevavano altresì che uno scatto d’ira determinato dall’altrui provocazione non potesse essere attribuito a responsabilità educative, ma unicamente al comportamento dell’autore dell’illecito, così come pure non potesse essere loro addebitato il fatto che il figlio non avesse completato la scuola dell’obbligo.
Il Supremo Collegio, investito della questione, ha, tuttavia, confermato quanto sostenuto dai giudici di Corte d’Appello, asserendo che il gravissimo comportamento del minore abbia, invece, palesato un fallimento educativo, quanto alla capacità di controllare i propri istinti o gestirli.
I giudici di legittimità, nell’esprimere tale opinione, non si sono di certo mostrati indulgenti nei confronti dei genitori, avendo, anzi, sottolineato che la reazione del minore avrebbe “tratto origine proprio da comportamenti dei genitori e, in particolare del padre”.
Il giovane aveva reagito brutalmente alle provocazioni sulle sue presunte frequentazioni omosessuali con la vittima, essendogli, a parere dei giudici, venuti a mancare quel supporto e quelle rassicurazioni che era compito dei genitori garantire.
Ulteriore colpa dei genitori quella di aver permesso che il figlio abbandonasse gli studi prima del tempo, dato che ciò lo aveva privato dell’apporto di esperienze di apertura e socializzazione che la scuola favorisce.