Questa attesa ordinanza con cui la Cassazione decide il regolamento di competenza sollevato dal tribunale ordinario di Milano, conferma – purtroppo rafforzandola – la competenza del giudice minorile.
Da un lato, infatti, la Cassazione sottolinea – fondando tale conclusione essenzialmente sul permanere immutato del rinvio all’art. 317 bis c.c. contenuto nell’art. 38 disp. att. – che l’ art. 4, co. 2, della l. n. 54 del 2006 ha il significato di estendere, all’evidente fine di assicurare alla filiazione naturale forme di tutela identiche a quelle riconosciute alla filiazione legittima, i nuovi principi e criteri della potestà genitoriale e sull’affidamento anche ai figli di genitori non coniugati; ma non l’altro, di incidere sui presupposti processuali dei relativi procedimenti, tra i quali la competenza. Questa, dunque, resta regolata dai principi consolidati al riguardo, a seconda cioè che papà e mamma siano tra loro coniugati o semplicemente (ex)conviventi.
Dall’altro – ed è questo il passaggio rafforzativo della competenza – il tribunale per i minorenni potrà decidere, da qui in avanti, anche per il mantenimento.
L’argomentazione posta a sostegno di tale ultima conclusione è – in sintesi – la seguente: l’art. 317 bis c.c. risulta riplasmato e dotato di nuovi contenuti per effetto della nuova normativa sull’affido condiviso. Tra detti nuovi contenuti si pone la regola di inscindibilità della valutazione relativa all’affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento.
Il giudice specializzato – in altri termini- è chiamato ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione, e quindi investente i profili patrimoniali dell’affidamento.
Si tratta – osserva ulteriormente la S.C. – di una conclusione coerente con il principio costituzionale di uguaglianza, idonea ad eliminare una disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali; e ciò – aggiunge ancora il S.C.- mentre il giudice delle leggi invita l’interprete a considerare “il matrimonio non (…) più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli, legittimi e naturali riconosciuti, identico essendo il contenuto dei doveri e dei diritti degli uni nei confronti degli altri”.
Conclusione certamente da condividere, sul piano dei principi; non tanto, d’altra parte, sul piano dei pronostici formulabili in termini di funzionalità, efficienza, completezza dell’istruttoria, rispetto effettivo del contraddittorio, celerità dei procedimenti.
Resta, anzi, da comprendere – né questa ordinanza contiene indicazioni al riguardo- se sia attivabile davanti al tribunale per i minorenni, il procedimento contemplato dall’art. 148 c.c., il quale ha fin qui costituito uno strumento snello e veloce per la determinazione del ‘quantum’ dovuto dal genitore per il mantenimento del figlio naturale.
Né può negarsi che, in generale, il giudice minorile è assai poco avvezzo a condurre istruttorie (le audizioni di testimoni e le CTU, già nell’ assetto attuale, si contano sulle dite di una mano).
Consulenze contabili? Produzioni documentali? Esami di documenti attestanti la condizione reddituale e patrimoniale delle parti? Attività istruttorie, queste, da espletarsi nell’ambito di quale contesto procedimentale?
Insomma, come spesso accade, il vento della riforma soffia non proprio nella giusta direzione, tanto che questo rinvigorimento delle funzioni del tribunale per i minorenni appare non proprio in linea con la già da tempo denunciata inadeguatezza di tale organo giurisdizionale all’attuazione del principio costituzionale del giusto processo.