1. Questa recente sentenza del tribunale felsineo si caratterizza per la singolarità della soluzione accolta, riguardo all’affidamento dei figli minori.
Non essendo percorribile, infatti, la strada maestra dell’affidamento condiviso (vedremo per quali ragioni) né quella, considerata suppletiva dall’ordinamento, dell’affidamento ad un solo genitore (e anche qui vedremo per quali motivi),il Collegio ‘ripiega’ sull’ affidamento provvisorio ai servizi sociali; soluzione quest’ultima consentita – non c’è che dire – dal nuovo sistema introdotto nel 2006: “Tale decisisione appare non in contrasto con la nuova legge in materia di affido condiviso, la quale, all’art. 155 comma 2 c.c. prevede la possibilità per il giudice, in tema di affidamento, di provvedere in favore di entrambi o di un solo coniuge o di ‘adottare ogni altro provvedimento relativo alla prole’, con ciò consentendo che, in caso di necessità, possa farsi luogo all’affidamento anche a soggetti terzi” (così la motivazione).
Ma, come funzioneranno in concreto le cose? Presso quale genitore vivranno i bambini? E a chi spetterà prendere le decisioni nella quotidianità ?
La sentenza offre una risposta esplicita relativamente a ciascuno di questi profili: i bambini continueranno a vivere presso la madre, alla quale, conseguentemente, e nonostante la riscontrata inidoneità a svolgere il ruolo di genitore affidatario, resta attribuita la gestione della vita quotidiana dei figli; la funzione e responsabilità genitoriale demandata ai servizi affidatari si concretizzeanno invece nell’ assumere le decisioni di maggior importanza sull’educazione, salute, scuola, tenendo informati i genitori, e nel cercare di favorire gli incontri tra i figli e il padre.
Ancora, fin qui, una decisione che non solleva alcuna perplessità, e che, anzi, appare pienamente lineare e logica, certamente costruita attorno alla considerazione doverosamente prioritaria dell’interesse dei figli.
2. Una volta lette, però, le ragioni della decisione (specie di quelle relative alla inidoneità genitoriale di ciascuno dei coniugi), le certezze circa la bontà della soluzione accolta si fanno più sfumate.
Sorvoliamo pure sulla decisione di ‘scartare’ l’affidamento condiviso, a motivo di una conflittualità esacerbata tra i coniugi: si potrebbe discutere della legittimità e opportunità di tale scelta, ma non sfugge che, per parte della giurisprudenza, la conflittualità esasperata tra le parti, e soprattutto, la tendenza di ciascuno dei genitori a svalutare l’altro , giustificano l’esclusione della bigenitorialità.
Consideriamo, allora e in primo luogo, le ragioni del “no” alla madre quale genitore affidatario; ragioni fin troppo chiare ed inequivoche, tratte dalle inoppugnabili valutazioni peritali:
– non solo e non tanto una personalità paranoidea, quanto, soprattutto, un atteggiamento di “estrema chiusura verso la figura paterna, tale da far ritenere per i minori gravemente dannose le decisioni assunte dalla madre in ordine al rapporto padre-figli”;
– e, ancora, un pensiero di tipo interpretativo/persecutorio che la induce a temere insensatamente il sequestro dei figli, da parte del padre “ragion per la quale non ha mai avuto, nè sembra tantomeno attualmente avere, intenzione alcuna di consentire che i figli vedano e sentano (neanche telefonicamente) il loro padre”.
L’elenco delle disfunzioni materne non finisce qui, eppure ciò basta a delineare un quadro di inadeguatezza genitoriale che esigerebbe un fronteggiamento da più lati, a cominciare dalla stessa collocazione dei bambini.
Si può ragionevolmente pensare che – nel quadro così delineato – la presenza assidua della madre accanto ai figli, il loro vivere insieme ogni giorno, possa favorirne una crescita equilibrata e serena?
E perché, allora, non affidare i figli al padre? Anche questa è una opzione contemplata dalla legge! Già, perché no?
Dovendosi escludere che una scelta del genere possa trovare origine nella teoria che imperava sotto l’ ancien regime (quella per cui, comunque andassero le cose, i figli dovevano restare con la madre, ma non è certo questo l’atteggiamento del tribunale bolognese), occorre capire ulteriormente le ragioni del ‘no’ al padre affidatario.
3. Anche il quadro tratteggiato riguardo al padre, in effetti, non si rivela ottimale; nessun disturbo di personalità, comunque (elemento questo che viene però considerato di second’ ordine).
Cos’ha questo padre che non va e che lo pone sul medesimo piano di inadeguatezza rispetto alla funzione di genitore affidatario?
Leggiamo:
– l’atteggiamento svalutante da egli pure tenuto nei confronti della madre e di tutto l’ambiente familiare materno (reazione umana, tutto sommato, per un uomo al quale viene impedito ogni contatto con i figli!);
– i genitori dell’uomo non sarebbero a loro volta genitori proprio perfetti poiché rigidi e pieni di pregiudizi (ma perché indagare – dal lato paterno- anche la personalità e il vissuto dei nonni?);
– e poi, gli zii paterni dei bambini (anch’essi passati al setaccio): avrebbero espresso giudizi razzisti e per loro è inaccettabile che i bambini vivano in un albergo (ma perché, per qualcuno potrebbe essere accettabile che dei bambini vivano in un albergo?);
– la condotta dell’uomo che, pur essendo stato indicato quale genitore affidatario dei figli in via provvisoria con l’ordinanza presidenziale, aveva trattenuto presso di sé la figlia minore, impedendo i contatti telefonici con la madre per quattro mesi, mostrando di interpretare quantomeno in modo eccessivamente restrittivo e favorevole nei suoi confronti il provvedimento presidenziale di affidamento a sè dei figli (condotta negativa e biasimevole, in effetti, ma – domandiamo – tale da giustificare il giudizio di inadeguatezza genitoriale?);
– infine, il mancato assolvimento dell’obbligo di mantenimento (imposto da una autorità estera) nei confronti dei bambini (condotta anche questa disdicevole – non c’è che dire – e tuttavia anch’essa da porre in relazione, sul piano del perchè di certe azioni umane, all’offensiva ostruzionistica altrui).
4. Sta di fatto, in ogni caso, che la decisione riguardo all’affidamento non può assolvere ad una funzione sanzionatoria o punitiva nei confronti del genitore che si mostri inadempiente sotto quello o quell’altro profilo (a tale riguardo, l’ordinamento mette in campo un nutrito catalogo di interventi, così come delineati dall’art. 709 ter c.c.).
Lo stesso tribunale, in effetti, conclude a tale riguardo che l’inidoneità paterna desumibile da quanto sopra è, comunque, “minore rispetto a quella mostrata dalla madre, tenuto conto della perseveranza e pervicacia da essa manifestate nel perseguire il proprio intento”.
Ma, tutto ciò nonostante, i bambini continueranno a vivere con la madre inidonea e a non vedere o a vedere con estrema difficoltà il padre meno inidoneo.