Il convegno potentino di ieri sulla privazione genitoriale è stata l’occasione per un acceso confronto. Tra i profili che hanno suscitato il maggior dibattito, vi è quello che noi avvocati chiamiamo il “709 ter“; per intenderci le misure apprestate dall’ordinamento, che il giudice dovrebbe adottare, di fronte a gravi violazioni delle regole sull’affidamento condiviso.
Si tratta di tre misure, precisamente: l’ammonizione, una sanzione pecuniaria da versare allo Stato e il risarcimento.
A parte la seconda che davvero è priva di senso ( e francamente credo sia di fatto inapplicata), le altre due hanno conosciuto, in questi dieci anni dal varo della riforma sull’affidamento condiviso, sostenitori e detrattori.
Pur rischiando di generalizzare troppo, possiamo dire che fautrice dell’applicazione di queste misure è la gran parte dell’avvocatura, non favorevole, invece, o perlomeno scettica, è la magistratura.
Ieri, appunto, il tema del 709 ter è stato introdotto dal Presidente del Tribunale di Matera, il quale ha espresso la propria scarsa propensione ad applicare queste misure; e ha motivato la propria posizione con la scarsa efficacia che, a suo dire, avrebbe un’ammonizione rivolta dal giudice al genitore che non rispetta le regole. Egli ha aggiunto, tuttavia, che quando proprio è esasperato, allora sì, vi fa ricorso.
La reazione dal pubblico degli avvocati non si è fatta attendere ed è giunta decisa e franca da una giovane avvocato del foro potentino, che si è guadagnata un sonoro applauso di consensi! “Se ci sono le norme, Voi giudici dovete applicarle” ha incalzato la mordace collega, la quale ha anche chiesto al Presidente se egli potesse dirci quale sia la percentuale di domande ex art. 709 ter accolte!
La risposta è stata :”molto poche”.
Il Presidente della Camera minorile, e moderatore del convegno, avv. Luciano Vinci, ha allora tratto spunto da quanto sopra per osservare, realisticamente, che purtroppo l’affidamento condiviso è una riforma disapplicata, chiedendo al Presidente se egli non ritenga che la responsabilità sia anche dei giudici.
L’opinione del giudice materano rispecchia, dunque, l’orientamento di buona parte dei giudici nazionali.
Ma perchè tanta riluttanza ad applicare queste misure?
Una ragione è, appunto, quella riportata dal Presidente, e cioè la convinzione della loro scarsa efficacia.
Un’altra ragione non palesata di cui io sono convinta, sta nell’idea diffusa che applicando queste misure si rischierebbe di inasprire ancor di più il conflitto tra i genitori; e questo a causa della natura punitiva delle misure previste dall’art. 709 ter.
Va anche considerato che il richiamare qualcuno ai propri doveri e alle proprie responsabilità è oggigiorno un po’ fuori moda, ha un sapore antico, vetero moralistico.
Eppure, eppure tante volte è proprio quello che ci vorrebbe!
E, beninteso, non per punire il genitore che con le proprie condotte malevole intralcia il rapporto del figlio con l’altro genitore, o, peggio ancora, esclude l’altro dalla vita del figlio minore, ma per richiamarlo in modo autorevole al rispetto dei propri doveri, e al corretto esercizio della funzione genitoriale. E il giudice è autorevole!
Potrebbe non funzionare?
Sì, potrebbe non funzionare, ma Vi posso garantire (per ciò che ho visto nella mia esperienza) che un’ammonizione non viene vissuta proprio come se nulla fosse da parte del destinatario; segno, dico io, che qualche effetto di ravvedimento potrebbe pur averlo!
Per non dire, poi, del risarcimento: ritrovarsi a dover corrispondere all’altro qualche migliaio di euro rischia, perlomeno, far riflettere!
E poi, soprattutto, la ragione per cui i giudici dovrebbero applicare quella norma sta nella considerazione della funzione di queste misure, la quale non è meramente sanzionatoria, ma sanzionatorio/deterrente. E che significa?
Significa che, sì, è una piccola sanzione, applicata però a fin di bene, per far desistere e ravvedere l’autore del comportamento, e indurlo a condotte rispettose della bigenitorialità.
Ma – ecco il punto – la punizione a fin di bene era costume dei nostri nonni (per la mia generazione, anche dei nostri genitori), e non è roba per l’uomo di oggi; e ci mancherebbe, dopo le rivoluzioni culturali dei decenni passati !?
Ecco il perchè dell’insuccesso di strumenti nei quali l’ingenuo legislatore del 2006 ha voluto credere.
Ammonire, del resto, vuol dire consigliare, esortare autorevolmente, dando precetti utili, mettere in guardia contro pericoli, avvisare di fare o non fare una cosa.
Il giudice, dunque, è chiamato dal legislatore ad esortare, a mettere in guardia contro il male che un genitore sta facendo al proprio figlio o al suo papà, o alla sua mamma.
Non vale la pena crederci, allora? e fare la propria parte?