Di nuovo un ‘ordinario’ caso di privazione del ruolo genitoriale, questa volta assistito, per di più, dalle istituzioni.
Attilio è un papà giovane, forse un po’ ingenuo. Del resto, la vita non gli aveva fin qui riservato esperienze troppo amare. Soltanto un leggero handicap fisico rattrista la sua esistenza, ma ha una famiglia, la compagna che ama e la figlioletta di tre anni che – come lui dice – è il sogno della sua vita.
Da qualche tempo, lo ammette, le cose non vanno in modo idilliaco con la compagna, che esce ogni sera con le amiche, lasciando a lui l’accudimento della figlioletta. Lui non fiata, è comunque contento di poter occuparsi di sua figlia, per lui è ciò che conta soprattutto.
Un giorno, inaspettatamente, un macigno gli piomba sulla testa: la compagna entra in casa con i Carabinieri al seguito. Attilio chiede cosa stia succedendo, ma per tutta risposta uno dei Carabinieri gli ordina di esibire i documenti: sì, proprio a lui che si trova in casa propria e non ha fatto altro che occuparsi con amore della piccola Lea.
Attilio rimane attonito, quasi paralizzato, subendo passivamente quella inattesa intrusione. La donna preleva la piccola, e sempre scortata dai Carabinieri, esce di casa. I Carabinieri aspettano che lei parta in auto, prima di andarsene a loro volta.
Nei giorni successivi, Attilio chiede invano spiegazioni ai Carabinieri, mentre costoro, soltanto dopo contestazione scritta dell’avvocato, spiegano che oggigiorno con tutto quello che si sente sul femminicidio, hanno la direttiva di fare così. Oddio, siamo alla “giustizia di genere”: gli uomini da una parte, considerati a priori colpevoli, le donne dall’altra, fragili e vittime per antonomasia, e dunque scortate.
Ecco, allora, l’avvocato rivolgere un ricorso urgente al Tribunale, per l’assurda vicenda che si sta verificando: Attilio apprende che la propria bambina è stata portata nell’abitazione dei nonni paterni, l’ha potuta rivedere sì ma sotto vigilanza, cioè presenti tutti e tre i componenti della famiglia materna: madre, nonna, nonno. Nessuna possibilità di riportare a casa la piccola né di rimanere con lei liberamente.
Viene designato il giudice, il quale fissa udienza di comparizione a Dicembre 2013, ad oltre sei mesi dal ricorso, invano qualificato come ‘urgente’.
L’avvocato, allora, si rivolge al Presidente di Sezione e chiede di poter anticipare l’ udienza, al fine di fissare regole indispensabili. Ma, il giudice delegato è già in ferie, e prima bisogna incaricare i Servizi Sociali di una indagine psico-sociale. Ben venga l’indagine psico-sociale, ma nel frattempo?
Ed ecco i Servizi Sociali: Attilio chiede accorato di poter avere del tempo con la propria bambina; vengono stabilite quattro ore a settimana, nella mattina del sabato, ma il papà non potrà portare la bimba a casa (quella casa – ricordiamo – che è la casa di Lea). La ragione di questo impedimento? Perché la mamma è in ansia, e teme che se la bimba rivede la propria casa, si crei confusione in lei (id est, voglia rimanere a casa propria).
L’assistente sociale spiegherà all’avvocato di Attilio che è solo una precauzione per alleggerire l’ansia materna, e che l’impedimento a portare la piccola Lea a casa del papà sarà limitata al primo incontro. In Attilio riaffiora una timida speranza…