Perdita delle erogazioni economiche del capofamiglia a seguito di incidente stradale e danno patrimoniale – App. Bologna, 22 gennaio 2007

Scritto il 22 Gennaio 2007 in Dc-Danno Patrimoniale

22/01/2007

Il 13/7/1955, in Lugo (RA), si verificava uno scontro tra la Renault 5 tg RA/396154 di proprietà di XX2, condotta dal figlio XX, assicurata dalla S.A.I. Assicurazioni s.p.a., e la motocicletta Suzuki 750 condotta da GG. Quest’ultimo, a seguito delle lesioni riportate nella collisione, perdeva la vita.

Il XX, sottoposto a procedimento penale per il reato di omicidio colposo, veniva condannato dal Tribunale di Ravenna, con sentenza 9/2/1987, alla pena di sei mesi di reclusione. Con la stessa sentenza il tribunale, ravvisato un concorso di colpa della vittima nella misura del 20%, assegnava alle parti civili (moglie e figli del defunto) una provvisionale di lire 300.000.000. A seguito di appello dell’imputato, la Corte di Appello di Bologna – con sentenza successivamente confermata dalla Corte di Cassazione – aumentava il concorso di colpa del GG a un terzo.

Con atto di citazione notificato il 13/5/1993, YY1 , YY2, YY3 e G.A.(moglie la prima, figli la seconda e il terzo, padre, l’ultimo, del defunto) convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Ravenna, il XX, la XX2 e la S.A.I. s.p.a. esponendo che la compagnia assicuratrice aveva pagato, in esecuzione della provvisionale, la somma di lire 300.000.000 corrispondente al massimale di polizza; che i danni ammontavano, con la riduzione di un terzo per il concorso di colpa del defunto, a lire 430.000.000; che la S.A.I. era tenuta al pagamento degli interessi e della svalutazione sull’importo del massimale dalla data del sinistro alla data del pagamento. Chiedevano pertanto la condanna del XX, della XX2 e della S.A.I. al pagamento della somma di lire 193.000.000, di cui lire 130.000.000 per capitale residuo e lire 63.000.000 a titolo di “interessi sul ritardato pagamento del massimale di polizza”.

(…)

All’esito dell’istruttoria, che aveva sviluppo meramente documentale e nel corso della quale la causa, a seguito della entrata in vigore della legge n. 276 del 1997, veniva assegnata alla sezione stralcio, il Tribunale, con sentenza n. 60 del 2/10/2001-19/1/2002:

rigettava la domanda proposta da G.A. per intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno; liquidava il danno subito dalla moglie e dai figli del defunto, in valori monetari dell’epoca del sinistro, in lire 471.922.200 e conseguentemente determinava il danno risarcibile, tenuto conto del concorso di colpa del de cuius, in lire 314.614.800, importo dal quale doveva essere detratta la somma pagata dalla SAI; condannava pertanto XX e XX2 a pagare agli attori YY1 , YY2 e YY3 la somma di lire 14.614.800, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno, per il periodo intercorrente dalla data del sinistro a quella della pubblicazione della sentenza, nonché una somma pari alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT della somma di lire 300.000.000 e agli interessi legali sulla medesima somma rivalutata anno per anno dalla data del sinistro a quella del versamento del massimale da parte della compagnia assicuratrice.

(…)
Il tribunale è invero pervenuto alla liquidazione del danno conseguente alla perdita delle erogazioni economiche del capofamiglia sulla base del reddito annuo del GG (lire 32.200.000 al netto delle imposte) diminuito della percentuale del 15% considerata quale quota del reddito che il defunto avrebbe destinato alle sue esigenze personali; ha quindi capitalizzato (utilizzando il coefficiente di capitalizzazione relativo all’età del defunto, pari a 14,20) una rendita corrispondente al reddito così decurtato (32.200.000 – 15% = 27.370.000) con applicazione di una riduzione del 20% per scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Ha così liquidato il danno patrimoniale, in valori monetari dell’epoca del sinistro, in lire 310.922.200 (27.370.000 x 14,20 – 20%).

Va però considerato, per un verso, che GG , funzionario di un istituto di credito, aveva una buona capacità di reddito e che anche la moglie era titolare di un proprio reddito (dal modello 740/85 prodotto in atti risulta che la YY1 svolgeva lavoro dipendente e percepiva un reddito annuo, al netto delle imposte, di lire 13.000.000 circa); per altro verso, che la quota di reddito riservata ai bisogni della famiglia era destinata a diminuire con il raggiungimento, da parte dei figli, dell’indipendenza economica (secondo l’id quod plerumque accidit, verso l’età di 26/27 anni, in caso di proseguimento degli studi universitari).

Alla luce di tali circostanze, la “quota sibi” (la parte, cioè, del reddito che il defunto avrebbe speso per sé), deve allora ritenersi superiore a quella indicata dal tribunale e può ragionevolmente e prudenzialmente essere determinata nella misura del 30% del reddito annuo netto, sicché il parametro reddituale al quale commisurare il danno dei familiari va rideterminato in lire (32.200.000 – 30%) = lire 22.540.000.

Il testo della sentenza è tratto da  www.giuraemilia.it