Ciao Guido carissimo, giudice dei deboli,
Ti incontrai un giorno su una strada percorsa da entrambi: l’abrogazione dell’ interdizione, l’ Amministrazione di sostegno, le scelte di fine vita.
Ai dibattiti su questi temi ti esprimevi con convinzione, risoluto, arrivavi diritto alla pancia di chi ascoltava quella voce calda e profonda, che a dire il vero si intonava a stento con la corporatura minuta.
Non so bene quando cominciai a sentirti come amico, nel mio animo, ma successe in modo naturale, un giorno. Eri leale e appassionato e questo ammiravo in te, “Che guevara” della giustizia.
Come giudice, dove sei arrivato, hai sparigliato le carte, proponendo vie d’uscita nuove, originali anche, ma sempre meditate e rispettose dei principi: lo facevi con convinzione, talvolta (l’hai fatto) con una dose massiccia di coraggio.
Così, per il testamento biologico avevi aggirato gli ostacoli, pescando la soluzione nel nuovo statuto dei deboli.
Qualcuno, come sempre avviene, non ha apprezzato le tue letture evolute del diritto, è il destino di chi guarda e vede lontano, piccolo extraterrestre prestato al mondo degli uomini.
A Modena, comunque, e in tante parti d’Italia, in molti ti ammiravano, avevi abrogato l’interdizione, totalmente, senza possibilità di deroghe, sposando fino in fondo il senso della riforma.
Come non approvarti, come non additarti orgogliosamente ad esempio per tutti i giudici dotati di buon cuore e sensibilità?
Anche a Bologna, nei corridoi del Pratello, si parlava di Te con speranza e trepidazione; all’inizio, il vento sembrava soffiare nella direzione giusta: i toni rispettosi e comprensivi delle tue udienze (ti arrabbiavi anche se c’era motivo, eccome!), l’impressione netta in coloro che ascoltavi di dialoghi costruttivi, non dall’alto dello scranno; e soprattutto, il rispetto per le famiglie, bambini non più allontanati senza un perché acclarato; il rispetto del contraddittorio come parola d’ordine imprescindibile nei procedimenti da te condotti; il servizio sociale ridimensionato alle funzioni che istituzionalmente dovrebbero competergli; decreti motivati sapientemente e con cura: dopo averli letti, sapevi, insomma, perché era stato deciso in quel modo.
Lì, al Pratello, e non nel mondo talebano, ti hanno accusato di screditare la magistratura, insomma non era benvisto il fatto che tu proponessi linee applicative rispettose dei diritti delle persone e che i tuoi provvedimenti venissero commentati favorevolmente: si disse, da taluno, che questo aveva offeso la dignità professionale degli altri giudici di quell’ufficio (tutti i commenti sono ancora lì, su www.personaedanno.it, leggibili da chiunque).
Si parlò, anche e – pensa – nelle ‘alte sfere’, di “incompatibilità ambientale”, ciò che si dice quando un magistrato non si allinea.
Hai sofferto molto, lo so, ma non ti sono mancati affetto e riconoscenza, anche da parte della gente comune, e questo è un onore particolare; sentimenti esibiti con pudore, magari in silenzio.
Sei volato via in un giorno, ai primi di marzo, quasi insieme a Lucio, piccoli bolognesi dal cuore grande. Hai creduto nella giustizia vera, nella capacità dell’uomo di rispettare il prossimo, nell’amore per i diritti dei bambini e delle creature fragili e indifese.
Ti dicevi laico, o lo dicevano di te, ma io vedevo nel tuo approccio al mondo una religiosità profonda.
Nel mese di agosto sfornavi tanti tuoi decreti, era un mese di lavoro – dicevi – perché ti consideravi un privilegiato e, per questo, non potevi permetterti di andare in ferie.
Ti immagino, ora, mentre con loden, borsello e pipa sfrecci sulla tua vecchia cara spider verso il nuovo tribunale dove prenderai servizio.
… qualcuno muore, qualcun altro sta nascendo, è il gioco della vita, come la sabbia in riva al mare. Ciao.