Ci voleva un padre popolare per suscitare interesse, per fare sì che i problemi dei padri separati venissero allo scoperto, sulle pagine dei quotidiani, in modo così clamoroso ed urlato. E’ di pochi giorni fa, infatti, l’articolo del Resto del Carlino che propone a caratteri cubitali e con la gigantografia di Tiberio Timperi, un articolo intitolato “Nel nome dei padri”.
Quando iniziai la mia esperienza professionale come giovane avvocato, erano in pochi a condurre la battaglia in nome dei padri “separati dai loro figli”.
Oggi, che di acqua ne è comunque passata sotto i ponti, mi sento di dire: Certo, tanto di cappello a chi può utilizzare il canale televisivo e quello giornalistico per condurre battaglie giuste, per portare all’attenzione pubblica problemi spesso dolorosi.
Ma, credo anche che un giusto tributo vada riconosciuto ai primi, ai padri pionieri, quelli che le battaglie le facevano a suon di scioperi della fame e della sete (oggi non farebbero più alcuno scalpore), o di “incatenamenti” alle porte dei tribunali: venivano presi per “dissidenti” rispetto ad un sistema che tributava alla sola madre (con affidamenti rigorosamente ed inesorabilmente monoparentali) il posto di comando; venivano considerati devianti, assimilabili in certo senso a individui portatori di un qualche malessere di natura psichica.
E gli avvocati, dal canto loro – intendo dire quelli meno coraggiosi – temendo possibili reazioni dei giudici, cercavano di celare ogni possibile collegamento con i primi gruppi organizzati di padri separati; altri (pochi, a dire il vero) ne condividevano le posizioni polemiche, i motivi di critica verso il sistema, accettando di sostenere anche in giudizio certe posizioni inconsuete e temerarie come la domanda di affidamento congiunto.
Era faticoso, molto faticoso. Ma qualcuno è andato avanti a muso duro, in tutti questi anni; ha sorretto e sospinto in avanti il progetto riformatore che alla fine ha visto la luce in sede legislativa (la legge n. 54/2006) seppure imperfetto.
Ricordo la riluttanza dei giudici (anzi il rifiuto) a partecipare ai convegni organizzati dall’Associazione Padri Separati; l’associazione bolognese capostipite nella battaglia, e per questo stigmatizzata come gruppo di violenti, di mariti che picchiavano le mogli e non pagavano gli alimenti. Ma era inutile cercare di far credere il contrario.
Eppure, Aldo Dinacci era sempre lì, come Napoleone nella sua tenda, pronto a sospingere avanti e con tenacia la nave dell’innovazione.
Il suo libro “Cuore di padre” è un omaggio all’amore tra padri e figli, e una riflessione piena di speranza.