Una sentenza importante, questa della corte d’appello di Bari, poiché interviene sulla questione della c.d. “maternità surrogata”. Una questione calda e dibattuta in dottrina, con varie tesi a favore e contro la possibilità di attribuire ai figli lo status di figli della madre committente, in luogo di quella naturale (la madre che ha portato avanti la gestazione). Un dibattito cui non corrispondono, però, pronunce giurisprudenziali (fatta eccezione per una prima sentenza del tribunale di Monza di qualche anno addietro, in una vicenda in cui il nato veniva conteso tra le due madri).
La fattispecie che, invece, non era ancora giunta all’attenzione dei giudici – fino ad oggi – era quella in cui la prestazione della madre surrogata era stata gratuita. Ed è, appunto, il caso che ha occupato la corte barese.
Una donna italiana sposa un uomo inglese, ma, a causa di un intervento all’apparato riproduttivo, non può generare figli. La coppia concorda, allora, con una cittadina britannica sia la gestazione, sia l’ utilizzo dell’ ovocita di questa.
L’ovocita, in altri termini, non era della committente talchè l’ipotesi non rientra in quella che comunemente si definisce «utero in affitto» o, più propriamente, contratto di maternità per sola gestazione; l’ovocita fecondato apparteneva alla surrogata, talchè il contratto intercorso tra la coppia e la donna inglese si definisce “contratto di maternità per concepimento e gestazione”.
Il ricorso a tale pratica era stato effettuato per due volte, con la nascita conseguente di due bambini, un maschio ed una femmina; il contratto era stato, peraltro, adempiuto pienamente con la consegna dei due neonati dalla madre naturale a quella committente, senza alcuna rivendicazione neppure successiva, da parte della prima. L’autorità giudiziaria inglese aveva, quindi, ratificato lo status dei due bambini, riconoscendoli figli della coppia committente.
Il giudizio italiano era stato introdotto soltanto (stante la mancanza di qualsivoglia contestazione inter partes) per la necessità di delibare il provvedimento straniero, onde regolarizzare lo status dei due minori.
Ed è questo l’argomento centrale – al di là della amplissima e accuratissima motivazione, ricca di particolari e di riferimenti alla dottrina, alla legislazione e alla giurisprudenza – su cui la corte d’appello fonda la propria decisione di accoglimento: l’interesse da tutelare, nella fattispecie, è quello dei due bambini, i quali vivono in Italia, insieme ai due genitori (committenti), sono conosciuti ed identificati da tutti come figli di quella coppia, e non sono reclamati da alcuno; il loro status, dunque, dovrà essere fatto corrispondere alla condizione apparente.
Irrilevante e non ostativa la normativa contenuta nella l. n. 40 del 2004 (la quale sancisce il divieto di surrogazione della maternità, con comminatoria di sanzioni penali), essendo questa intervenuta in un momento successivo a quello in cui si svolse la vicenda.
Quanto, poi, al pur ipotizzabile contrasto con l’ordine pubblico, l’ordine pubblico che rileva non è quello interno ma quello internazionale, rispetto al quale la tecnica in discorso non può dirsi confliggente.
Sulla base di questa sentenza, in definitiva, Luca e Rosa (i nomi sono di fantasia) diventeranno, all’anagrafe, figli a tutti gli effetti, figli legittimi cioè, della coppia committente.