La Suprema Corte ha confermato la condanna per maltrattamenti nei confronti di una mamma e di un nonno, colpevoli di aver tenuto il figlio “sotto una campana di vetro” sino all’età preadolescenziale, tanto da rendergli difficile la deambulazione.
Nello specifico, la madre aveva tenuto “atteggiamenti iper protettivi nei confronti del minorenne, con imposizione di atti riservati all’età infantile, nonché nell’esclusione del minore da attività didattico istituzionali lagate alla motricità”. Inoltre madre e nonno avevano impedito al ragazzino di avere rapporti con i coetanei fino alla prima elementare.
I familiari del minore, a loro discolpa, hanno sostenuto di aver agito nell’interesse del minore ed in buona fede, e che, in ogni caso, il bambino godeva di buona salute.
La Corte ha respinto il ricorso ed ha evidenziato che è del tutto irrilevante il riferito stato di benessere del bambino, tenuto conto che, “in tutti i sistemi di civiltà evoluta, lo Stato può verificare in modo intrusivo le realtà di disagio anomalo nella famiglia e le loro cause umane, imponendo prescrizioni ai familiari sino alla decadenza della potestà, all’allontanamento, e allo stato di adottabilità del minore stesso”.
(Cass. Pen., VI sez., 11 ottobre 2011, n. 36503)