Pare quasi un controsenso accostare la parola madre con quella di assassina, dato che madre è colei che dà la vita, assassina colei che la toglie.
Ho a lungo riflettuto prima di decidermi a scrivere queste righe, righe che – in virtù della mia professione di avvocato e di presidente di un’associazione (Persona e danno E.-R.) dedita ai temi dei diritti della persona e dei soggetti deboli (tra cui, appunto, i bambini) – intendo portare a conoscenza del mio ordine di appartenenza, e delle pubbliche istituzioni.
Ne spiego subito le ragioni.
E’ ben nota, ultima di una lunga serie, la dolorosa e cruenta vicenda di Castenaso. Una madre separata uccide i propri figli, di sei e quattro anni, due bambini dolcissimi e innocenti. Non sono mancate le foto che li ritraggono in trascorsi momenti felici, e anche qui sarebbero tanti gli argomenti da affrontare, e tra questi: è giusto divulgare – e mi sento di aggiungere – a fini meramente speculativi, è giusto divulgare l’immagine di due bambini non più in vita, sia pure con il consenso di chi esercitava su di essi la potestà genitoriale? Certo, loro non possono parlare né sapere.
Proseguendo, allora. Una madre uccide i propri figli, con modalità che lasciano esterrefatti: prima cerca di annegarli, poi taglia loro la gola; e quindi si uccide.
Non scendo nelle valutazioni riguardanti la ricostruzione degli eventi, non spettando a me di certo.
I quotidiani dei giorni immediatamente successivi al duplice delitto parlano della madre come di una donna in preda alla depressione, come se tale ipotetico stato psichico potesse giustificare, dare ragione di ciò che è accaduto.
L’ avvocato della madre, dal canto suo, afferma che la propria assistita ha compiuto un gesto d’amore, perché si sentiva sola, con i problemi della casa, dei figli, e con un marito (da cui comunque era separata) non in grado di occuparsi di loro.
Non posso non dire che leggendo queste dichiarazioni, ieri mattina su Il Resto del Carlino, avvertivo un senso profondo di malessere, un sentimento di rabbia e di desolazione; quello, appunto, che mi ha determinato a questa iniziativa.
Oggigiorno, dunque – sembra di capire, questo perlomeno è il messaggio veicolato tramite la stampa – spezzare la vita di due bambini, oltretutto in modo premededitato, può essere considerato “un gesto d’amore”.
Oggi, poi, lunedì 28 settembre, viene pubblicata la lettera della donna.
Una lettera con la quale Erika si rivolge ai suoi “mamma e papà”, affermando che la sua decisione era stata meditata da tempo, e coltivata aggiungendo, giorno dopo giorno, piccoli dettagli alla scena – sì a quella scena – “fino ad arrivare a figurarmela interamente”.
Ed ecco le ragioni dell’efferato gesto, snocciolate anche quelle nella lettera: la convinzione che il portare con sé i figli costituisca un “profondo atto d’amore“, data la ritenuta mancanza di un futuro per loro, vista la ritenuta incapacità del padre di occuparsi di loro per più di un giorno.
Non intendo parlare delle colpe di quella madre, se non altro perché pure lei non è più di questo mondo.
Intendo qui parlare delle nostre colpe, di noi che parliamo spesso a vanvera, soprattutto noi operatori del diritto e dell’informazione, senza immaginare prima le ricadute anche gravi che certi messaggi possono determinare.
E soprattutto quando ciò che si afferma tira in ballo numerose altre situazioni assimilabili a quella specifica cui ci riferiamo, tante altre storie di sofferenza, e di difficoltà, in cui lo spirito di emulazione può giocare brutti scherzi. Proprio oggi, una mia assistita mi ha telefonato raccontandomi che sabato sera ha tentato il suicidio non facendocela più (si è tagliata le vene, anche se è stata salvata in extremis).
Troppo moralista questa mia riflessione? Poco, anzi, per nulla indulgente ? Certo che sì, e domando, allora: di fronte a fatti del genere è lecito, per noi tutti, accantonare il senso morale delle cose, il significato profondo dell’essere genitore, in nome di uno sterile pietismo commiseratorio ?
Quale diritto ha un genitore – ammettiamo pure disperato e depresso – quale diritto ha di decidere se i proprio figli debbano o meno continuare a vivere?
Non si può, insomma, far passare il messaggio che l’uccisione dei propri figli sia un gesto d’amore; soprattutto, non può affermarlo un operatore del diritto, né possono scriverlo a caratteri cubitali i giornali, ciò che è, invece, purtroppo avvenuto!
Mi fermo qui, sperando di offrire uno spunto di riflessione per tutti noi, spettatori sornioni, a volte cinici, di epiloghi di vita tanto drammatici.