“E’ senz’altro una cosa buona, un’indicazione da seguire, ma i rischi sono tanti” è ciò che generalmente si dice tra gli operatori riguardo all’ascolto del minore da parte del giudice; così nei giudizi di separazione quando si tratta di deciderne la collocazione abitativa e la frequentazione con papà e mamma, oppure nei procedimenti di adozione e di affidamento preadottivo.
I rischi paventati sono quelli legati ai possibili condizionamenti che il minore potrebbe subire dai genitori o dai diversi protagonisti, volta a volta, della vicenda giudiziaria che li riguarda. Una sorta di tiro alla fune, in cui la fune però sarebbe il ragazzino.
Io stessa non ho mancato di fare queste considerazioni e di nutrire questi dubbi; dubbi sulla opportunità dell’ascolto in sede giudiziale.
Ma le proclamazioni internazionali circa il diritto del fanciullo di essere ascoltato, e l’ indicazione altrettanto perentoria (sempre nelle convenzioni sovranazionali) del dovere di tenere conto delle opinioni che il minore esprime circa il proprio destino familiare, mi hanno indotto ad osservare le cose più da vicino.
Un compito non facile, a dire il vero, non essendo ancora così frequenti (per quanto in aumento) le occasioni di audizione del minore; e soprattutto perché l’avvocato non viene generalmente ammesso nella stanza del colloquio.
Eppure, ho scoperto che anche l’anticamera e il corridoio sono luoghi istruttivi a tale riguardo; tanto che il giudice deputato all’ascolto dovrebbe – a mio parere – dedicare una parte dell’udienza di audizione tenendo fuori il bambino e ‘sbirciando’ dalla serratura della propria stanza le relazioni spontanee che si svolgono fuori, nell’anticamera appunto.
Erano tre, ieri, i ragazzini accompagnati davanti al giudice bolognese: un ascolto prolungato e minuzioso (i giudici onorari incaricati dell’audizione hanno dedicato a ciascuno quasi un’ora), che ha consentito a chi stava fuori – me compresa – di osservare nel frattempo.
Il giudizio riguarda un reclamo avverso un decreto del tribunale per i minorenni che ha decretato, in modo superficiale e verosimilmente erroneo, la decadenza dalla potestà dei genitori e l’adozione dei tre fratelli (due femmine di 11 e 12 anni e un maschietto più piccolo, di dieci anni). Userò nomi di fantasia.
Le ragioni della decisione sono legate, in estrema sintesi, a trascorsi fragilità psichiche della madre, accertate sì ma adeguatamente affrontate in sede terapeutica e oggigiorno stabilizzate in senso positivo. Fragilità psichiche della madre che però assistenti sociali e giudici hanno esteso con un singolare automatismo anche al padre, concludendo che entrambi i genitori non possano occuparsi dei loro figli.
Il giudice del reclamo – giudice attento e scrupoloso – ha disposto l’audizione dei tre fratelli.
Ecco, allora, questo vorrei dire, al di là del merito della vicenda.
Ho notato un minimo di ansia – certo – al loro arrivo, l’occasione era unica e importante; e poi in quel luogo così austero, con alle pareti i quadri di dimensioni ragguardevoli di magistrati d’altri tempi (quelli che Luca ha definito ‘i vescovi’).
Quale entusiasmo, però. Sentirsi al centro della considerazione, sapere che quelli che decidono intendono conoscere la tua opinione. E poi la contentezza per l’ arrivo di papà e mamma (quelli veri): abbracci, coccole, alternarsi continuo dell’uno e dell’altro dei fratellini per riuscire a parlare a tu per tu con i genitori.
L’assistente sociale abbandonata al suo destino, là su una panca in silenzio, non degnata neppure di uno sguardo; conversazioni intense: “io all’andata (sono stati accompagnati dall’assistente sociale essendone affidatario il Servizio) me la sono dormita tutta” dice Miriam; io ho visto il papà superarci …io…io… io…
Sintonia piena tra Luca e le due sorelle maggiori, la ricerca assidua dei loro abbracci (lui è costretto a vivere separato da Miriam e Sonia).
Una bella dimostrazione di affetti (che qualcuno ha deciso debbano essere lacerati per sempre), di vivacità, di intelligenza. E non servivano psicologi lì, ieir, per capire che non c’era segno di disagio in quei bambini.
Volontà ferme, espresse in modo inequivocabile attraverso i gesti e i sorrisi di intesa, di confidenza.
Finita l’audizione, i due giudici onorari sono usciti insieme e si sono complimentati con i genitori per quei figli. Miriam, la più grande, ha abbracciato stretta il giudice donna, forse un’implorazione.
L’assistente sociale ha preso con sé i tre bambini allontanandosi furtivamente e senza consentire che i bambini si accomiatassero da mamma e papà. Fuori in strada, per fortuna, si sono rivisti ed abbracciati.
Erano le 13,15, avevano fame. “Non Vi fermate a mangiare qualcosa? Un panino?”, chiede allora la mamma. No, hanno detto che ritorniamo subito a Piacenza.