Una sentenza ottima, sotto più punti di vista.
Oggetto di revoca è l’interdizione (pronunciata nel 2000) di una donna affetta da disturbo delirante cronico. Detto disagio psichico, tuttavia, non ne aveva compromesso il funzionamento personale e la capacità di vivere autonomamente.
L’interessata pensa, riguardo alla propria interdizione: “Quel fascicolo è illegale e illegittimo disonesto falsificato paradossale e deve essere annullato (…) E’ da 20 anni che la mia gestione economica viene turbata (…) Dopo l’interdizione iniziata a mia insaputa furono architettati raggiri sulla casa per impedirmi di venderla. Dopo la scomparsa della mia mamma mi furono imposti soprusi con l’interdizione iniziata a mia insaputa (…) Io sono favorevole alla revoca dell’interdizione, ho lottato tanti anni, purché non sia lesa la mia integrità fisica e psichica, io affido a lei ogni rapporto giuridico o economico con mio fratello”.
A dire il vero, però, la signora G. non pensa molto bene neppure dell’Amministrazione di sostegno, che pur conosce.
E, infatti, alla domanda del giudice istruttore: “Se il Tribunale revoca l’interdizione e inizia l’amministrazione di sostegno le andrebbe bene?” lei risponde ad alta voce: “L’amministrazione di sostegno non la voglio! anche se è la più duttile elastica umana flessibile delle misure protezionistiche di Stato, è contro la Costituzione. Ho letto dei libri, quello di Bonilini quello giallo. L’art. 413 è contro la Costituzione perché conferisce troppi poteri al giudice tutelare. Fetenti gaglioffi!”.
Il libro letto dalla signora G. non ha avuto buon gioco, dunque; chissà, però – magari – se avesse letto quello di Paolo Cendon!
Resta il fatto – al di là di queste esternazioni anti-istituzionali (uno dei problemi riscontrati in sede peritale era proprio l’avversione della donna nei riguardi di qualsivoglia forma di autorità) – che l’interdizione viene revocata per le ben condivisibili ragioni che già costituiscono l’orientamento univoco in tal senso del tribunale felsineo; e che possono sintetizzarsi nella necessità di accordare prevalenza alla nuova misura di protezione, in grado di presidiare adeguatamente la persona. Gli atti vengono, dunque, trasmessi al giudice tutelare ai fini dell’attivazione dell’amministrazione di sostegno.