Queste le particolarità del decreto che pubblichiamo, rispetto al precedente del 5 novembre 2008.
Riguardo alla fattispecie:
– l’interessato era già beneficiario di amministrazione di sostegno, essendo afflitto da gravi disabilità fisiche determinate dalla SLA di affezione; integre, comunque, le facoltà cognitive;
– dopo la nomina della moglie quale amministratore di sostegno, il beneficiario aveva espresso (per il tramite dei necessari ausili tecnici – tavola Etran) le seguenti volontà: “La SLA risparmia l’intelletto. Se, per malattia intercorrente, ci sono disturbi della vigilanza o della lucidità irreversibili (come da demenza severa) chiedo che siano sospesi i mezzi di supporto comprese la PEG e la ventilazione assistita”;
– si era in presenza, pertanto, di persona già priva della possibilità di curare autonomamente i propri interessi, ma senza alcun deficit cognitivo;
– si trattava, pertanto, di attribuire al vicario il potere di esprimere, in sostituzione dell’amministrato, il rifiuto di cure salvifiche artificiali (compresa la PEG), allorchè l’ingravescenza della malattia ne avesse determinato la necessità. Nel caso del novembre 2008 – si ricorderà – il ricorrente era, invece, persona pienamente autonoma, il quale aveva domandato la nomina in via anticipata di un amministratore di sostegno per dare attuazione alle proprie determinazioni in materia sanitaria, nell’eventualità futura di perdita di coscienza.
Riguardo alla decisione assunta:
– medesima sostanzialmente la motivazione, salvo che per il punto sub I) in cui il giudice rileva che i sanitari dovrebbero, comunque, rispettare le volontà espresse dal paziente lucido; e ciò, dunque, renderebbe superfluo l’intervento del giudice, se non fosse che, nell’attuale dinamica dei rapporti socio-culturali, è destinato a prevalere un atteggiamento dei medici improntato al tenere in vita la persona ad ogni costo;
– nuova, invece, la previsione del potere dell’amministratore di richiedere le cure palliative a fronte della sospensione dei mezzi salvifici. Una determinazione introdotto ex officio dal giudice tutelare, pur in mancanza cioè di una richiesta esplicita in tal senso; e ciò – è evidente – nell’interesse della persona, cui deve essere garantito un adeguato fronteggiamento delle sofferenze.