Responsabilità medica: sì al risarcimento provando il nesso tra la cura e il danno

Scritto il 30 Settembre 2009 in Dc-Danno non Patrimoniale

La Suprema corte torna in campo sulla responsabilità medica. E ricorda: una volta provato il nesso causale tra la cura e il danno è possibile il risarcimento. Perché spetta all’ospedale dimostrare l’assenza di colpa. È quanto emerge dalla sentenza 20954/09 (qui leggibile come documento correlato) emessa dalla terza sezione civile della Cassazione.

Prove. Accolto, nella specie, il ricorso di una donna che in seguito all’assunzione della streptochemicetina per curare una broncopolmonite aveva subito la lesione del labirinto. Quel farmaco, però, è ototossico e la sua somministrazione – questa la tesi del Ctu – sarebbe stata necessaria durante il periodo febbrile e opportuna nei primi tre quattro giorni dalla scomparsa della febbre.

Connessione. Cassata con rinvio la sentenza di merito. Secondo la Corte di appello mancavano le prove: dalla cartella clinica non risultava, infatti, che la paziente avesse comunicato al personale medico i suoi disturbi precedenti alla sospensione del medicinale. Ma il giudice di merito – osservano gli “ermellini” – ha del tutto omesso di considerare che già il secondo giorno di assunzione del farmaco la febbre risultava inferiore ai trentasette gradi, in un contesto nel quale il nesso causale tra la somministrazione del medicinale e le lesioni del labirinto erano ormai accertate, in esito al giudicato interno che si è formato sul punto in seguito alla pronuncia di primo grado.

Onere. Il paziente ricoverato che sostiene di aver subito un danno a causa del trattamento medico ricevuto deve, quindi, provare solo la sussistenza del nesso causale. Spetta, invece, all’ospedale offrire la prova della non imputabilità della sua causa. E l’assenza di colpa va valutata in relazione all’affidamento del malato nella diligenza del medico, caratterizzata nel caso di specie, dalla somministrazione di un medicinale di risaputa ototossicità. (cri.cap)

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