Secondo quanto dispone l’art. 155 c.c., anche in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, e di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi.
E’ questo il diritto alla bigenitorialità, riconducibile all’art. 30 Cost. e costituente, pertanto, prerogativa di rango costituzionale.
Titolari di tale diritto sono il bambino e l’adolescente, e ciascun genitore, sempre in virtù della previsione della norma fondamentale suindicata, la quale contempla non solo come dovere, bensì anche come diritto le cure genitoriali, e così l’educazione, l’istruzione e il mantenimento.
Come noto, l’ attuazione del diritto alla bigenitorialità (allorché i genitori si separino) viene garantita, a seguito della riforma del 2006 (legge n. 54 del 2006), mediante l’ affidamento condiviso.
Ma, la condivisione effettiva dell’affidamento dei figli richiede il rispetto di talune condizioni imprescindibili rimesse al giudice della separazione, senza le quali cioè l’ espressione rimane priva di un riscontro concreto nella realtà.
Per dirla in altri termini, il giudice è chiamato a fare in modo che (a) entrambi i genitori prendano parte alle decisioni che riguardano la vita del figlio, quelle fondamentali perlomeno (scuola, salute), (b) il figlio trascorra con ciascun genitore tempi pressochè paritetici, o comunque significativi, con l’ abbandono definitivo dell’anacronistico ‘diritto di visita’ del genitore non convivente; (c) correlativamente, sul piano economico, ciascun genitore si faccia carico delle necessità materiali del figlio, sostenendo direttamente le spese necessarie di volta in volta, durante i tempi di presenza del bambino presso di sè, suddividendo poi a metà, con l’altro genitore, le spese cd. straordinarie (scuola, salute, tempo libero).
Il bilancio applicativo della riforma, a sei anni dall’ entrata in vigore della legge 54, non è però del tutto roseo, e anzi le associazioni di genitori denunciano da più parti il sostanziale fallimento della riforma; tanto che è in discussione in Parlamento un progetto di legge – denominato condiviso bis – volto a ridimensionare fortemente le storture applicative riscontrate in questi anni.
Ma, in cosa consiste la denunciata applicazione dell’affidamento condiviso?
Il quadro è vario ed eterogeneo.
Gli esempi più vistosi sono rappresentati dalle decisioni che, pur nell’ ossequio formale alla denominazione “affidamento condiviso”, continuano ad applicare i vecchi schemi, prevedendo che il bambino viva stabilmente con un genitore, e frequenti l’altro per tempi esigui, integrandosi così nulla più che il vecchio diritto di visita.
Viene perpetuata, in tal modo,la vecchia concezione dell’affidamento monogenitoriale, con una legittimazione istituzionale, sancita cioè dal giudice della separazione, al prevalere di un genitore sull’altro, a discapito di quella bigenitorialità che la legge consacra quale diritto soggettivo.
La condizione di prevalenza di un genitore rispetto all’altro trascende, poi, non di rado, in tutta una serie di condotte prevaricatorie ed impeditive, cui il genitore cd. collocatario (detto anche eloquentemente ‘genitore prevalente‘) si sente autorizzato, per effetto del provvedimento del giudice.
L’ esito di tali condotte illegittime, ma di fatto legittimate dall’alto, è -nei casi più gravi – la privazione del ruolo genitoriale a discapito dell’altro genitore e la lesione del diritto del bambino alla bigenitorialità.
Cosa c’è sotto?
Ora, e difficile dire quali siano le ragioni della riluttanza di non pochi giudici a seguire la nuova impostazione legislativa, introdotta dalla legge n. 54/2006.
Le opinioni al riguardo sono varie, tutte accomunate, però, dalla considerazione della prevalenza accordata al ruolo materno e alla relazione madre-bambino: opinione avvalorata dalla tradizione cattolica (secondo quanto sostiene taluno) e, per altro verso, dalle indicazioni della pedagogia di stampo tradizionalista; opinione supportata, altresì, dalla constatazione della condizione di inferiorità economico-sociale della donna, rispetto alla quale, nei decenni scorsi, vennero messi in campo interventi di vario genere e vennero adottate linee interpretative, nella giurisprudenza, volte ad agevolare la condizione economico-sociale della donna e madre nella separazione.
Accanto a queste, concorrono verosimilmente ragioni più banali, quale la maggior speditezza della decisione allorché si adottino decisioni preconfezionate, più o meno standardizzate. Seguire le impostazioni collaudate è senza dubbio più comodo e sbrigativo.
Come orientarsi, allora?
Come si potrebbe invertire la rotta, senza necessariamente puntare su un nuovo intervento del legislatore (il quale, poi, non è detto che sarebbe risolutivo delle questioni in gioco?)
Abbandonate le risposte preconfezionate e appartenenti ad una logica anacronistica, il giudice della famiglia dovrebbe costruire le regole della separazione ed, in particolare, quelle riguardanti la relazione genitore – figlio muovendo dal basso, dalla conoscenza approfondita del caso concreto, delle peculiarità di esso, e delle aspettative di ciascuno dei protagonisti della vicenda, bambino compreso.
Ecco, dunque:
– l’ ascolto del bambino (capace di discernimento, grosso modo a partire dai dieci anni) come passaggio preliminare, da svolgersi nella fase introduttiva del procedimento, e ciò per impedire che le opinioni che questi esprimerà siano il portato di condizionamenti esercitati, in pendenza del giudizio dai ‘controinteressati’;
– provvedimenti conseguenti (della fase presidenziale) confezionati su misura, a seconda dell’esito dell’audizione, da adottare dunque senza preconcetti ideologici/ culturali, ma tendendo comunque e sempre alla realizzazione concreta del principio di genitorialità condivisa;
– a seguire, momenti di verifica successivi, non troppo distanziati nel tempo, durante lo svolgimento del giudizio stesso, con gli aggiustamenti che via via si rendano necessari ( è quanto già viene fatto da alcuni giudici solerti).
Certo, spetta prima di tutto gli avvocati – e un bravo avvocato non si sottrae a questo impegno – far comprendere al proprio assistito/a il vero significato e l’importanza del rispetto delle nuove regole.