La Corte di cassazione, I Sez. civile, dubita della legittimità costituzionale delle norme che prevedono l’acquisto automatico del cognome paterno per il figlio legittimo.
Ad avviso del collegio rimettente, la predetta normativa si pone in contrasto con gli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, della Costituzione, in quanto la tutela costituzionale offerta dal primo degli invocati parametri ai diritti dell’uomo «nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» esige che il diritto di cui si tratta sia garantito, nell’ambito di quella formazione sociale primaria che è la famiglia, nella duplice direzione del diritto della madre di trasmettere il proprio cognome al figlio e di quello del figlio di acquisire segni di identificazione rispetto ad entrambi i genitori, testimoniando la continuità della sua storia familiare anche con riferimento alla linea materna; ed ancora, in quanto l’attribuzione, automatica ed indefettibile, ai figli del cognome paterno si risolve in una discriminazione ed in una violazione del principio fondamentale di uguaglianza e di pari dignità che, nella legge di riforma del diritto di famiglia, trova espressione sia con riferimento ai rapporti tra coniugi – i quali, ai sensi dell’art. 143 cod. civ., acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri – sia con riguardo al rapporto con i figli, nei cui confronti l’art. 147 cod. civ. impone ai coniugi obblighi di identico contenuto; ed infine, perché il necessario bilanciamento tra l’esigenza di tutela della unità familiare, cui è riconosciuta copertura costituzionale, e la piena realizzazione del principio di uguaglianza non è correttamente perseguibile attraverso una norma così marcatamente discriminatoria, tenuto anche conto che l’unità familiare si rafforza nella misura in cui i rapporti tra i coniugi siano governati dalla solidarietà e dalla parità.