La Suprema Corte ha avuto modo di rammentare questo principio di diritto, in occasione dell’esame di un ricorso inerente alla richiesta di risarcimento danni patiti in seguito ad un infortunio mortale verificatosi sul posto di lavoro.La sig.ra V.D., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Udine, il sig. R.F. e la T. A. al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla morte del marito, dipendente della ditta C.M., incaricata dalla ditta N.T. di provvedere al montaggio di un silos.
Durante il lavoro di montaggio del silos, il sig. A.T., marito dell’attrice, si era appoggiato con le mani all’autogru. Il mezzo meccanico, procedendo verso l’uscita del cantiere con il braccio alzato, urtava, inavvertitamente, i cavi dell’alta tensione e lo sfortunato sig. T. rimaneva folgorato. Il Tribunale condannava entrambe le parti convenute al risarcimento dei danni, seppure in misura minore rispetto a quella richiesta, essendo stata, altresì, accolta la domanda di rivalsa avanzata dall’Inail.
Avverso tale decisione la vedova del lavoratore proponeva appello alla Corte di Trieste. La Corte d’appello riduceva gli importi risarcitori riconosciuti nel giudizio di I grado in quanto riteneva che vi fosse stato un concorso di colpa dell’operaio.
La moglie della vittima dell’incidente, ritenendo non corretto ed ingiusto il provvedimento emanato dalla Corte d’Appello, presentava ricorso alla Corte di Cassazione.
Tuttavia, la Suprema Corte respingeva il ricorso della vedova e confermava la condanna integrale al risarcimento dei danni, così come riconosciuta all’esito del giudizio di I grado.
Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 42 c.p., 2050, 2056, 1227 c.c., omessa e insufficiente motivazione ed omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia.
Il suesposto motivo è stato considerato privo di pregio. Si è chiarito, infatti, come la fattispecie delineata dall’art. 2050 c.c. sia da tempo ricondotta nell’alveo della responsabilità oggettiva e non in quello della presunzione di colpa, come erroneamente ricostruito dalla ricorrente e che il percorso imposto dalla disposizione di cui all’art. 2050 c.c. “sia perfettamente compatibile con la speculare valutazione della condotta del danneggiato”. La valutazione della condotta del danneggiato, ricostruita in termini di imprudenza e negligenza – considerando anche la sua competenza professionale – è stata effettuata con una motivazione congrua e del tutto esente da vizi logico-giuridici; pertanto, è risultata insindacabile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo, parimenti ritenuto infondato, si è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Si è riconosciuto che il Giudice di merito ha, a ragione, accolto la domanda di natura subordinata formulata dalle parti ritenute responsabili dell’evento dannoso relativa ad una contestazione sul quantum del risarcimento, avendola reputata perfettamente compatibile con la proposta domanda principale.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, concernenti le disposizioni sulle spese di giudizio e la richiesta di correzione di un errore materiale della sentenza sono stati ritenuti inammissibili; il primo perché palesemente generico ed il secondo perché esulante dai poteri utilizzabili dalla Corte regolatrice alla quale ci si è rivolti.
Anche il ricorso incidentale della T.A. è stato considerato del tutto infondato.
Con il primo motivo di ricorso, reputato privo di pregio, si è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., omessa ed insufficiente motivazione, omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia.
Tale motivo, imperniato sull’assunto dell’esclusione di ogni rapporto di preposizione da parte della società nei confronti del danneggiante e sull’interruzione della serie causale ordinaria risultante dalla disposizione di cui all’art. 41 co. 2 c.p., si è infranto contro la corretta motivazione addotta dal Giudice d’Appello: quest’ultimo ha, infatti, giustamente evidenziato che un incarico (come quello dato al sig. R.F.), conferito, sia pur in via occasionalead una persona estranea alla compagine aziendale, consentisse, comunque, la legittima predicabilità di una responsabilità ex art. 2049 c.c., anche al di là e a prescindere dalla configurazione giuridica del rapporto negoziale instaurato nel caso in questione.
Con il secondo motivo di ricorso, dichiarato infondato, la T. ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 42 c.p., 2050 e 1227 c.c., motivazione omessa ed insufficiente.
La Suprema Corte ha rilevato che la ricostruzione dell’infortunio, soprattutto in relazione alla sussistenza di un nesso causale tra la condotta del F. e l’evento dannoso verificatosi, sia stata realizzata conformemente alle regole probatorie dettate, in questa materia, dalla medesima Corte di Cassazione e che, pertanto, la suddetta ricostruzione si sottrae alle censure mosse dalla ricorrente incidentale.
Infine, per quanto riguarda il ricorso incidentale proposto dall’Inail, è stato accolto il secondo motivo: si è, infatti, posto in luce che i Giudici di Appello hanno errato nell’aver arbitrariamente (senza rispettare, cioè, il consueto iter logico-procedimentale da applicarsi in circostanze del genere) ridotto la somma da riconoscersi, in via di rivalsa, all’Inail, per avere il danneggiato concorso con il danneggiante nel produrre l’infortunio del quale egli è rimasto vittima.
[1] In seguito a tale vicenda, veniva aperto un procedimento penale, il quale si concludeva con la condanna – per omicidio colposo – del sig. R.F. a sei mesi di reclusione, ex art. 444 c.p.p.
A tal proposito, va specificato che fosse indubbio che la T.A. avesse incaricato il gruista in pensione R.F. di provvedere sia alle operazioni di conduzione dell’autogru, sia a quelle di sollevamento del silos, affinché venisse, poi, installato presso il cantiere