Se una coppia di genitori trascorre all’estero, con il figlio minore, un periodo di tempo prolungato (undici mesi, per l’esattezza) e, allorchè si tratta di far rientro in Italia, nella casa di sempre, uno di essi rifiuta di tornarvi, e accusa l’altro (rientrato con i bambini) di sottrazione internazionale di minori, quale dovrà essere la valutazione del giudice?
La risposta della Cassazione è chiara e perentoria: l’elemento decisivo è dato dalla individuazione della residenza abituale dei minori, talchè se questa era in Italia, non vi è dubbio che la paventata sottrazione non possa dirsi integrata.
Coerentemente con tali presupposti, il tribunale di Bari aveva affidato provvisoriamente i figli al padre con facoltà per la madre (rimasta in Svezia) di far loro visita, ma aveva escluso ogni condotta illegittima di sottrazione in capo al padre.
Tale statuizione trova conferma in sede di legittimità, sottolineandosi:
(i) la chiarezza della nozione di ‘residenza abituale’ quale delineata dall’ art. 3 della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980, ovverosia, “il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, e di relazione” e che la residenza abituale dei minori era in Italia;
(ii) la circostanza che quello in Svezia era stato un soggiorno episodico, dato che i bambini, appena rientrati a Bari, avevano ripreso le consuetudini affettive e relazionali di sempre; erano insomma “tornati a casa”;
(iii) il bambino, poi, era stato ascoltato dal giudice e aveva espresso il proprio motivato rifiuto a tornare in Svezia.
Il testo della sentenza è tratto da cassazione.net