Il riconoscimento del figlio naturale resta se non si dimostra l’impossibilità della paternità

Scritto il 08 Maggio 2009 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Non basta che il figlio naturale rifiuti di sottoporsi alla prova del Dna per smentire l’avvenuto riconoscimento di paternità: l’impugnazione per difetto di veridicità ex articolo 263 Cc impone di dimostrare che sia assolutamente impossibile che l’uomo che ha dato il suo cognome al bambino sia in realtà il genitore biologico del soggetto riconosciuto. Lo conferma la sentenza 10585/09, emessa dalla prima sezione civile della Cassazione.

Nessun dubbio. Ecco i fatti: dopo la morte del padre naturale, che vent’anni prima aveva riconosciuto una bambina come frutto della relazione con una donna invisa alla propria famiglia, scende in campo il fratello del defunto per far affermare il difetto di veridicità della dichiarazione di paternità. Domanda bocciata in primo grado ma accolta dalla Corte appello, che motiva da un lato sul “no” della figlia naturale a sottoporsi all’esame biologico e dall’altro sulla notevole distanza che separava le città di residenza del padre e della madre all’epoca del concepimento. Il ragionamento – osservano gli “ermellini” – non è esauriente: soltanto il raggiungimento della prova assoluta dell’inesistenza della paternità può annullare il riconoscimento effettuato (Cassazione 10033/07).

Rilevanza probatoria. È vero: anche il rifiuto di affrontare gli esami ematici rientra fra gli argomenti di prova su cui si può fondare il convincimento del giudice (Cassazione 13276/06; 6694/06; 2907/02, arretrato 2 marzo 2002; 1268/02; 13766/01). Ma nella specie, contro le conclusioni del pm, trova ingresso la tesi di madre e figlia secondo cui sono pochi i casi in cui la giurisprudenza in circostanze simili ha dato rilievo di prova al “no” all’esame del Dna: si tratta dell’ipotesi in cui è accertata la sussistenza, all’epoca del concepimento, di rapporti sessuali della madre con soggetti diversi da chi ha effettuato riconoscimento; e dell’ipotesi, residuale, di mancanza di rapporti anche di semplice conoscenza fra la madre e l’autore della dichiarazione di paternità. Insomma: la motivazione della Corte d’appello risulta insufficiente (Cassazione 4462/03; 12085/95; 7700/90). (d.f.)

Il testo della sentenza è tratto da dirittoegiustizia.it

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