Il mantenimento dei figli nella giurisprudenza post riforma

Scritto il 20 Aprile 2010 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Trascorsi quattro anni dalla riforma sull’affidamento condiviso, uno dei temi più spinosi continua ad essere quello del mantenimento dei figli, e ciò nonostante la chiarezza del disposto normativo.
La regola sancita a chiare lettere dall’art. 155 c.c. è quella del mantenimento diretto, e questa deve, pertanto, costituire la modalità di adempimento privilegiata, anzi, quella ordinaria, cui il giudice dovrebbe attenersi.
Oltretutto, può osservarsi, su un piano di politica del diritto, che da una coerente applicazione della previsione statutaria appena vista deriverebbe del tutto verosimilmente un’attenuazione della conflittualità genitoriale.

Eppure, guardando le decisioni dei giudici (della separazione e del divorzio, come pure di quelli minorili) riesce oltremodo difficile cogliere il cambiamento introdotto nel 2006.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i provvedimenti contemplano espressamente l’obbligo del genitore, detto impropriamente “non collocatario” (id est, il padre) a corrispondere all’altro un assegno mensile per il mantenimento dei figli; e ciò avviene, il più delle volte, senza neppure alcuna motivazione che possa giustificarsi alla luce delle nuove disposizioni codicistiche.
Il vizio di origine di detta impostazione applicativa, diffusasi a macchia d’olio e recepita dalla stessa Cassazione, sta nel fatto che continua ad imperare la logica del genitore prevalente e di quello che può soltanto aspirare ad una frequentazione più o meno estesa (corrispondente, né più né meno, al vecchio ‘diritto di visita’); e ciò con buona pace del rispetto della volontà dei riformatori.
In taluni casi, addirittura, il giudice è giunto a negare la possibilità stessa che il mantenimento diretto possa essere inteso quale regola generale e scelta da privilegiare, motivando con il criptico assunto che affidamento condiviso e mantenimento diretto costituirebbero istituti rivolti a fini distinti (così Trib. Bari, 1 febbraio 2008).
Dal lato opposto, per fortuna, non manca un (pur minoritario) orientamento, rispettoso del dettato normativo, il quale ravvisa nella contribuzione diretta “la proficua funzione di far partecipare attivamente e concretamente alla vita del figlio anche il genitore con questi non stabilmente convivente”.



La rassegna che segue (e che verrà periodicamente aggiornata) seguirà questo criterio ordinatore:

A] da un lato, le pronunce che continuano a prevedere un contributo fisso di mantenimento a carico di uno dei genitori;
B] dall’altro, le decisioni rispettose della regola del mantenimento diretto o che, pur contemplando un assegno periodico, mostrano di considerarlo effettivamente quale assegno di natura perequativa, imposto cioè dalla forte discrepanza delle rispettive condizioni economico- reddituali;
C] Pronunce che oltre a contemplare l’ assegno perequativo, stabiliscono l’ammontare del mantenimento diretto.

A] Pronunce contenenti previsione di assegno di mantenimento per i figli, a carico di uno dei genitori.

Come già detto sopra, questo gruppo è il più nutrito, e conta – ad oggi – un rilevantissimo numero di provvedimenti di merito. Cominciamo, però, seguendo un ordine gerarchico, con il riportare le sentenze della Cassazione.

Così:
Cass., sez. I, 6 novembre 2009, n. 23630 (in www.affidamentocondiviso.it) la quale si esprime sui criteri di quantificazione dell’assegno assumendo, per implicito, che l’assegno venga previsto ordinariamente, e non soltanto allorquando sussista la necessità di una perequazione: “Ai fini della determinazione dell’assegno periodico per i figli, l’art. 155 cod. civ. novellato attribuisce sicura preminenza al criterio delle “esigenze attuali del figlio”, che non sono certamente soltanto quelle inerenti il vitto, l’alloggio e le spese correnti, ma attinente ad esse è indubbiamente l’acquisto di beni durevoli (ad es., indumenti e libri), che non rientrano necessariamente tra le spese straordinarie”;

Cass., sez. I, 4 novembre 2009, n. 23411 (in D&G, 2009) pur richiamando la regola del mantenimento diretto, avvalora quale opzione di applicazione generale quella della previsione di un assegno a carico del genitore non convivente con il figlio: “Il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, al fine di realizzare tale principio di “proporzionalità”. La corresponsione di tale assegno si rivela quantomeno opportuna, se non necessaria, quando, come nella specie, l’affidamento condiviso preveda un collocamento prevalente presso uno dei genitori: assegno da porsi a carico del genitore non collocatario”;

Cass., sez. I, 18 agosto 2006, n. 18187 (in Foro it., 2006, 12, 3346; Giur. it. 2007, 10 2193) ha escluso che dall’affidamento congiunto (ma con principio esteso anche al sistema successivo alla riforma) possa farsi derivare ipso iure la regola del mantenimento diretto: “la recente L. n. 54 del 2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli introduce il cd. principio della bigenitorialità, con ciò ovviamente privilegiando l’interesse “esistenziale” del minore e prescindendo, in particolare, sia dal rapporto patrimoniale tra i due ex coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore, autonomamente disciplinati dal comma 4 di detto art. 155 c.c. in cui è previsto che ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e che “il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”, sulla base di vari parametri, tra cui “le risorse economiche di entrambi i genitori”. E’ un’ulteriore e definitiva conferma che l’affidamento congiunto non può certo far venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza. Ne consegue che censurabile è la decisione che faccia derivare, come conseguenza “automatica”, dall’affidamento congiunto, il principio che ciascuno dei genitori provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli”.

Passando alla giurisprudenza di merito:

App. Roma, 16 luglio 2008, n. 3077 (in Guida al diritto 2009, 3, 81) dà per scontata la previsione di un assegno di mantenimento a carico del genitore non convivente con il figlio, come si può desumere dalla seguente massima: “la determinazione del “quantum” dell’assegno a carico del coniuge onerato al mantenimento dei figli deve essere effettuata sulla base dei suoi mezzi effettivi; in particolare, nel caso in cui l’obbligato rivesta la qualità di imprenditore commerciale, l’indagine sulle reali capacità economiche di tale soggetto può anche prescindere dal reddito imponibile da questi denunciato al fisco, e addirittura condurre a risultati che smentiscono quanto da costui dichiarato ai fini tributari, restando la dichiarazione fiscale sul piano di una mera dichiarazione di scienza il cui contenuto può essere smentito da documenti (come le visure camerali) attestanti il possesso da parte sua di altre e maggiori fonti di reddito”;

App. Napoli, 6 giugno 2008, n. 2201(in Guida al diritto 2008, 43, 57; Il civilista 2008, 12, 64) non solo dà per scontata la previsione di un assegno di mantenimento, ma esclude – con impostazione, sotto questo profilo, del tutto isolata – che detto assegno “non può avere natura forfettaria, nel senso di includere comunque, anche eventuali spese straordinarie. Talune di queste spese, infatti possono essere non sono imprevedibili ma anche imponderabili tanto che il fatto che vengano incluse comunque nell’assegno di mantenimento così come è stato quantificato, potrebbe determinare una compressione dei diritti del minore a vedere soddisfatte tutte quelle particolari esigenze che possono inaspettatamente presentarsi nel corso della vita e che necessitano di interventi economici straordinari”

Trib. Bari, 1 febbraio 2008, ( in www.giurisprudenzabarese.it) ha escluso, in modo categorico, che per effetto della l. n. 54 del 2006, l’affidamento condiviso possa comportare in modo “automatico” la contribuzione diretta ai bisogni dei minori, atteso che i due istituti tutelerebbero interessi distinti. Più precisamente, mentre l’affidamento condiviso sarebbe volto a salvaguardare l’ equilibrato sviluppo psico-fisico del minore, perpetuando lo schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, l’assegno – dotato di natura “patrimoniale-assistenziale” – sarebbe strumentale al raggiungimento di detto sviluppo psico-fisico, consentendo di sostenere le spese necessarie per realizzarlo. Da qui l’ assenza di una correlazione biunivoca tra affidamento condiviso e contribuzione diretta. Tale conclusione troverebbe conforto nel dato testuale dell’art. 155, comma 4, c.c., il quale non contempla il venir meno della modalità di mantenimento della prole mediante corresponsione di un assegno.

B] Pronunce che contemplano il mantenimento diretto, o prevedono assegno nella sostanza perequativo 

Trib. Bologna, ord.za g.i., 18 gennaio 2010 (in www.personaedanno.it) che ha revocato il precedente obbligo di corresponsione di assegno di mantenimento a carico del padre, in considerazione della sopravvenuta perdita del lavoro di questi, ma valorizzando altresì la consistenza dei tempi di permanenza del figlio presso di lui: “ritenuto che il fatto sopravvenuto della perdita del lavoro (il sig. X è stato licenziato per soprressione del posto di lavoro, art. 3 l. 604/66) giustifica la revoca dell’attuale contributo ordinario, avuto altresì riguardo all’apprezzabile durata dei tempi di permanenza del minore presso il padre (sia pure non uguale a quella della permanenza presso la madre) resta pertanto l’obbligo di entrambi i genitori di contribuire in via diretta al mantenimento del figlio”.