Il danno alla sfera realizzatrice
Con la pronuncia del 20 aprile 2010, n. 9379, la Cassazione, sez. lav., torna a ribadire sostanzialmente quanto aveva già affermato nella pronuncia del 10 febbraio 2010, n. 3023. Precisamente dice la S. C. che “La nuova dislocazione dei danni alla persona nell’ambito dell’art. 2059 c.c. appare senz’altro idonea non solo a far superare le difficoltà relative alla selezione dei danni non patrimoniale risarcibile, ma anche a rendere possibile la soluzione di molti dei problemi che sorgono con riferimento alle tecniche di valutazione e di liquidazione del danno non patrimoniale.
Coerentemente al contenuto di tali pronunce la giurisprudenza ha individuato, nell’ambito del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c. c., la categoria del danno morale, o danno soggettivo puro, riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, quella del danno biologico, riconducibile alla lesione dell’integrità psico-fisica e cioè alla compromissione della salute, e quella del danno esistenziale, riconducibile alla sfera realizzatrice dell’individuo ed attinente al “fare” del soggetto offeso.
Con la precisazione, formulata dalla medesima Corte di Cassazione con la successiva sentenza a sezioni unite n. 26972 dell’11 novembre 2008 (…) che il danno non patrimoniale configura una lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, sì da costituire una categoria ampia e omnicomprensiva all’interno della quale la ulteriore individuazione del danno biologico e del danno esistenziale ha valore meramente descrittivo (Cass. SS. UU., 11.11.2008, n. 26972; nello stesso senso, Cass. sez. lav., 12.5.2009, n. 10864).
Tale premessa si appalesa indispensabile al fine di una corretta ricostruzione sistematica, nella vicenda in esame, delle poste di danno non patrimoniale risarcibili”.
Più avanti, soffermandosi sul danno esistenziale, la S. C. afferma che esso (il danno esistenziale) “consiste in tutte quelle alterazioni della qualità della vita conseguenti alla condotta posta in essere (nel caso di specie) dal datore di lavoro (…)”.
Chiarezza e distinzione
La prima cosa che emerge con evidenza è la confermata tripartizione dell’universo del danno non patrimoniale in tre zone: biologica, morale, esistenziale. La zonizzazione – se così si può dire, scherzando un po’, attingendo al lessico dell’urbanistica – viene delineata demarcando con nettezza i tre tipi di danno. Il danno morale viene definito come il danno riconducibile alla sofferenza morale soggettiva, il danno esistenziale come il danno riconducibile alla sfera realizzatrice ed attinente al fare del soggetto offeso.
La seconda cosa che balza agli occhi è l’effetto di ordine che consegue alla zonizzazione: ordine nel motivare, nell’argomentare, nel decidere. Si ottiene per questa via la chiarezza e distinzione di cartesiana memoria. Basta in proposito guardare alla struttura della motivazione: “per quel che riguarda il danno morale soggettivo, osserva il Collegio (…) Per quel che riguarda il danno esistenziale (…) osserva il Collegio (…) Per quel che riguarda il danno biologico rileva il Collegio (…)“. Sembra un’ovvietà, ma dopo la n. 26972 forse non lo è più.
Ma si tratta di ordine non solo nell’esposizione ma anche nella struttura logica. Risulta chiaro infatti dove finisce il ragionamento in fatto e dove inizia quello in diritto e altrettanto chiaro dove i due versanti si incontrano.
Unitarietà fittizia e unitarietà effettiva
La S. C. non manca di ricordare la precisazione formulata dalla n. 26972/08 secondo cui il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva all’interno della quale la ulteriore individuazione del danno biologico e del danno esistenziale ha valore meramente descrittivo. Ma a questo punto davvero non si comprende cosa significhi realmente la parola “descrittivo“. Il riferimento sembra più che altro un gesto di cortesia istituzionale verso le Sezioni Unite, un formale inchino che nulla di sostanziale contiene in sé, un asserto che può essere lasciato cadere tranquillamente, come un mantello vuoto.
Del resto se descrivere significa cogliere, portare alla luce, focalizzare il danno, è agevole vedere in questo un aspetto anche prescrittivo, in considerazione del principio di riparazione integrale del danno. Il problema è infatti capire qual è il danno. Visto che tutto il danno va risarcito, allora nel momento stesso in cui si descrive un danno si decide anche circa la sua risarcibilità.
Il fatto è che non è molto chiaro cosa intendano le Sezioni Unite quando parlano di valore “descrittivo”. E ancor prima non è chiaro l’impianto della n. 26972/08, che anzi appare viziato da una contraddittorietà di fondo: quella di dar forma a un consequenzialismo dal cuore eventistico; e tale contraddittorietà non può non ripercuotersi su ogni asserto, compreso quello – ripreso dalla sentenza in commento – secondo cui il danno non patrimoniale è una categoria ampia e onnicomprensiva.
L’unitarietà cui pone capo la n. 26972/08 è in realtà fittizia. Dire che non esistono categorie – e dirlo, o lasciarlo pensare, anche con riguardo ai danni-conseguenza – dà luogo, a ben vedere, ad una frammentazione del danno non patrimoniale: esistono tanti danni quanti sono i diritti lesi. L’esigenza di specificità, condivisibile fin quando ci muove sul piano della lesione del diritto, una volta però che viene trasposta anche sul piano dei danni-conseguenza, finisce per spezzettare in mille frammenti la categoria asseritamene unitaria del danno non patrimoniale.
In questo modo inavvertitamente le Sezioni Unite danno origine ad una sorta di big bang, ad un universo polverizzato in pezzi destinati a disperdersi; in definitiva ad un pluriverso, destinato a sicura entropia. Non si avvedono le Sezioni Unite che le categorie hanno proprio la funzione di raccogliere in unità quelli che altrimenti rimangono frammenti irrelati; che sono centri di gravitazione che permettono di ricondurre a sistema i mille pezzi, componendo in universo quello che diversamente è un pluriverso.
Dunque il sistema cui danno vita le Sezioni Unite è quello in cui ad una declamata ma fittizia unità corrisponde un’effettiva frammentarietà del quadro. L’unitarietà è solo l’apparente terminus a quo che sfocia in un frammentismo esasperato.
L’effettiva unità è quella che si raggiunge con la zonizzazione del danno non patrimoniale, riconfermata dalla sentenza che si annota. Qui l’unitarietà è il sostanziale terminus ad quem cui si perviene attraverso la distinzione, ossia con l’articolazione interna del danno non patrimoniale in grandi zone omogenee. Infatti, quando si ragiona sulle conseguenze dannose, è solo con le categorie – quali esse siano – che si può unificare il materiale che all’esito del vaglio dell’ingiustizia giunge (ed è bene che giunga) separato.
L’unitarietà cui mette capo la zonizzazione è di sostanza, raccogliendosi intorno al vero centro sostanziale attorno a cui ruota il danno non patrimoniale, ossia la persona unitariamente considerata, il referente in carne ed ossa dei vari diritti. La morsa eventistica da cui la n. 26972/08 non riesce a svincolarsi disegna una persona come agglomerato di diritti, come il terminale di situazioni giuridiche. Quel che di genuinamente consequenzialistico rimane in questo impianto è davvero poco. In questo sistema ha poco senso il riferimento alla persona come portatore in carne ed ossa di interessi vitali. Ha senso più che altro formale il riferimento alle “ripercussioni negative sul valore-uomo” di cui pur discorre la n. 26972/08. Nella sostanza un sistema come quello adottato dalla n. 26972/08 configura tale dato – le ripercussioni negative sul valore-uomo – come allant de soi, come se non ci fosse bisogno di riflettere su che cosa consistano tali ripercussioni, su che cosa consista il valore-uomo, su ciò che rende negativa una ripercussione. Il dato delle ripercussioni negative sul valore-uomo finisce per essere non più che una scatola vuota, dal momento che tutti i giochi sono fatti al momento della lesione del diritto di volta in volta leso. Ciò che succede poi è in qualche modo predestinato, sottoposto ad una ferrea logica della necessità.
I diritti non sono un destino
La sentenza annotata si muove in un diverso orizzonte; un orizzonte in cui i diritti non sono un destino, ma sono uno strumento che va ad incrociarsi con le circostanze della vita di ognuno. Rende evidente, la pronuncia, il suo intento di non considerare le “ripercussioni negative sul valore-uomo” solo come una espressione tanto altisonante quanto vuota. I diritti sono briscole; senza le briscole non si può vincere. Ma si vince non contando le briscole ma i punti che le briscole hanno consentito di ottenere. Così dovrebbe essere in un sistema autenticamente consequenzialistico.
Così è nella pronuncia in esame; così non è nella n. 26972/08.
La valenza unificante – quell’unitarietà di sostanza – del sistema consequenzialistico organizzato dalle categorie emerge con evidenza nella pronuncia in commento, in particolare nella parte in cui fa riferimento alla nozione di qualità della vita, parola tipica del lessico esistenzialista. Come già visto, secondo la sentenza il danno esistenziale consiste in tutte le alterazioni della qualità della vita conseguenti alla condotta illecita. Evidentemente il fare riferimento a una tale nozione costituisce un’autentica mossa consequenzialistica, dal momento che essa costringe a ragionare su ciò che rende negativa una ripercussione sul valore-uomo e su che cosa si intende per valore-uomo. È altrettanto evidente che ci si muove qui sul terreno delle perdite e non dei diritti lesi, ossia dell’ingiustizia. Non è quindi una smentita dell’asserto della n. 26972/08 secondo cui non esiste un diritto alla qualità della vita. Nessuno può pensare che esista un diritto alla qualità della vita.
La qualità della vita è nozione che viene in rilievo al momento della pesatura delle ripercussioni della lesione del diritto; al momento del conteggio dei punti, e non al momento dell’uso delle briscole.
Il rimando alla nozione di qualità della vita denota una felice apertura dei supremi giudici verso il dibattito contemporaneo intorno al valore-uomo. Cosa del tutto auspicabile; certo, non per trasporre meccanicamente sul terreno giuridico gli esiti delle riflessioni delle varie scienze sociali; ma per non rimanere come rane nello stagno, per alimentarsi delle sollecitazioni provenienti dagli altri campi del sapere. Ciò che del resto è accaduto nell’elaborazione del danno biologico.
Si tratta quindi di una sentenza che lascia ben sperare. È quindi in fondo secondaria la forse non condivisibile coincidenza istituita dalla pronuncia tra danno esistenziale e alterazione della qualità della vita. Probabilmente l’alterazione della qualità della vita abbraccia anche le ripercussioni sul versante interno-passivo, quello in cui prende corpo il danno morale. Il danno esistenziale consiste nelle alterazioni oggettivo-esteriori della qualità della vita.
Ma in questo momento ciò può apparire poco più che un dettaglio. Ciò che più importa è l’atteggiamento della S. C., aperto, positivo; l’atteggiamento di chi vede in un problema un’opportunità (quella che il danno esistenziale offre al diritto) e non in un’opportunità un problema; l’atteggiamento di chi dice, parafrasando S. Blackburn, che non si fa una mappa stando seduti ma misurando e controllando. Tradotto: non si fa la mappa del danno non patrimoniale rimanendo seduti in poltrona una volta appurata la lesione del diritto, ma misurando volta per volta le conseguenze. Non si fa la mappa del danno non patrimoniale credendo alla dottrina della predestinazione delle perdite (tale ingiustizia tale perdita) ma credendo che la chimica delle conseguenze è diversa da quella dei diritti e ciò che sul piano dell’ingiustizia è uguale per tutti, sul piano delle conseguenze dannose può essere – e spesso è – diverso per ognuno. Ad es. la mancata attivazione del servizio telefonico lede un diritto che è (protetto con intensità) uguale per tutti; ma dalla lesione del diritto uguale possono discendere conseguenze diversissime a seconda delle persone, delle loro vite, delle circostanze.
Soprattutto la mappatura è probabile che riesca bene se si pensa che i diritti – la cui lesione è indispensabile – sono veicoli, portatori di qualità della vita, ma non sono la qualità della vita. Non bisogna confondere i mezzi di trasporto con le cose trasportate. (Natalino Sapone)