Il danno esistenziale da privazione del rapporto parentale

Scritto il 02 Dicembre 2004 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Con la sentenza n. 2994 dell’ 8 luglio 2004, pubblicata il 2 dicembre 2004, il Tribunale di Monza ha condannato il padre-genitore affidatario al risarcimento, in favore della madre, del “danno non patrimoniale derivante a questa per la privazione del diritto ad un rapporto genitoriale con il figlio”, liquidandolo nella somma di cinquantamila euro.

LA VICENDA –  Questi, in sintesi, i tratti salienti della vicenda esaminata e decisa dal tribunale: due coniugi, in sede di separazione consensuale, concordano l’affidamento del figlio, di tre anni, al padre, prevedendo un adeguato regime di frequentazione per la madre; dopo pochi mesi, vengono meno apprezzabili relazioni tra la madre e il bambino.

A nulla valgono nè il successivo affidamento del bambino ai servizi sociali, né gli interventi attuati dai servizi, e la situazione rimane così cristallizzata.

Le CTU espletate denunciano l’ inadeguatezza di entrambe le figure genitoriali, e il conseguente fallimento ambientale intorno al bambino: “c’è stato intorno a N un fallimento ambientale: entrambi i genitori …non sono stati in grado di esercitare una funzione protettiva, contenitiva e rassicurante nei confronti del figlio”.

Di natura diversa sono, tuttavia, le concorrenti responsabilità.

La madre, interessata, in effetti, da un importante problema di salute, si era dimostrata “poco affidabile, oscillante tra momenti di intensa depressione abulia e scoramento, e momenti di euforia ed entusiasmo poco motivati sul parametro di realtà”; il padre, “soggetto della famiglia più forte psicologicamente e più influente sul comportamento del figlio”, aveva “mantenuto una posizione di totale diffidenza, quando non di aperta svalutazione” e “aveva fatto di tutto per impedire una reale ripresa dei rapporti tra madre e figlio”.

Anzi, egli, oltre a non avere “mai dato un reale contributo positivo all’evoluzione della relazione di N con la madre”, aveva esplicitato “sia con comportamenti di rigida chiusura emotiva, sia con aperte dichiarazioni, anche alla presenza del bambino, la sua radicale sfiducia sull’utilità degli interventi di mediazione in atto”.

A fronte della condotta rigidamente ostativa del genitore affidatario, la madre domanda il risarcimento del danno biologico e morale, per la privazione di ogni possibilità di rapporto con il figlio.

IL DIRITTO VIOLATO– In tale condotta del genitore affidatario, il tribunale ravvisa la fonte del pregiudizio subito dalla madre per la “privazione delle positività derivanti dal rapporto parentale”.

E’ questo uno dei passaggi qualificanti della decisione: la compromissione del rapporto con il figlio, attribuibile (sia pure non in via esclusiva) al padre, lede un diritto della personalità della madre costituzionalmente garantito, e ciò determina un pregiudizio per il quale deve essere apprestata adeguata tutela risarcitoria. Il diritto violato viene ravvisato, dal giudicante, nel diritto personale della madre alla piena realizzazione del rapporto genitoriale con il figlio, diritto il quale trova garanzia costituzionale negli artt. 2, 29 e 30 Cost.

IL SUPERAMENTO DEI TRADIZIONALI LIMITI RISARCITORI– D’altra parte, i tradizionali criteri risarcitori non consentono un’ adeguata riparazione del pregiudizio subito: non si tratta, infatti, di mera lesione dell’integrità psico-fisica, né di mero patema d’animo, talchè il pregiudizio non potrebbe essere compensato con l’attribuzione di risarcimento a titolo di danno biologico e di danno morale.

Si tratta, piuttosto, di cogliere i profili esistenziali del pregiudizio subito: la gioia perduta per ogni incontro mancato; il dover riorganizzare la propria vita escludendo da essa la programmazione di quegli incontri; e poi, i sorrisi del figlio venuti meno, le manifestazioni d’affetto svanite; forse, e senza forse, il senso onnipresente di lutto per quella privazione e, ciò nonostante, il dover continuare a vivere, in modo diverso, come madre svilita e spezzata; in una parola, la contaminazione irreversibile della qualità della vita di quella madre.

Questo è, del resto, l’ ambito di estensione del danno esistenziale: “un nuovo danno che presenta un ventaglio di indicazioni originali e nel cui ambito si rinvengono (…) lesioni apparentemente del tutto inedite” (Dogliotti, DFP, 2002, 60); “sequenza di dinamismi alterati, un diverso fare, o dover fare, o non più fare, un altro modo di rapportarsi al mondo esterno, un’attenzione verso qualsiasi modalità realizzatrice della persona” (Cendon, RCDP, 1998, 225).

L’AGGANCIO GIURISPRUDENZIALE– Per poter estendere la tutela risarcitoria a tale area del pregiudizio, non coperta dal danno biologico (quand’anche provato) né dal danno morale (quand’ anche configurabile, sussistendo l’elemento soggettivo del dolo), occorre accedere ad una più ampia definizione del danno non patrimoniale.

L’aggancio giurisprudenziale, per il superamento di tale limite, viene rinvenuto, dal giudice di Monza, nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 8827/2003.

E’ noto il percorso argomentativo seguito dalla S.C.: non può essere condivisa la tradizionale lettura dell’art. 2059 c.c., in base alla quale la norma assicura tutela risarcitoria al solo danno morale soggettivo, ovvero, alla sofferenza contingente, la quale sia determinata da fatto illecito costituente reato. La nozione di danno non patrimoniale va estesa fino a ricomprendervi il danno conseguente alla lesione di interessi della persona non connotati da rilevanza economica, i quali trovino riconoscimento e tutela nella Costituzione.

E, proprio perché si tratta di valori della persona di rilievo costituzionale, il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente non può essere soggetto al limite posto dalla riserva di legge contenuta nell’art. 2059 c.c., e correlata all’art. 185 c.p. In altri termini: la risarcibilità del pregiudizio derivato dalla lesione di diritti della persona costituzionalmente tutelati prescinde dalla configurabilità del fatto illecito causativo, quale fatto-reato.

Con riferimento, poi, alla fattispecie considerata – danno da perdita della relazione parentale per la morte o la grave menomazione fisica del congiunto- la S.C. ravvisa l’interesse tutelato nell’ interesse “alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.”

Linearmente corrispondente l’iter argomentativo del giudice di Monza: l’interruzione di ogni apprezzabile relazione negli ultimi dieci anni, tra madre e figlio, attribuibile (seppure in via non esclusiva) al padre affidatario, integra lesione di un diritto personale costituzionalmente garantito; il danno conseguente, da privazione delle positività derivanti dal rapporto parentale, può trovare congruo risarcimento anche indipendentemente dall’accertamento di una responsabilità penale, e, dunque, a prescindere dal dolo dell’autore dell’illecito.

LA FUNZIONE PREVENTIVA DEL DANNO ESISTENZIALE CONTRO GLI ABUSI DEL GENITORE AFFIDATARIO– L’ importanza della sentenza qui annotata è anche lato sensu politica, laddove si consideri la funzione non soltanto riparatoria, ma altresì preventiva del danno esistenziale: è la rivincita del genitore non affidatario (genitore, spesso, di second’ ordine, “messo da parte”, obliterato) contro i ricorrenti abusi del genitore affidatario.

Il monito circa le responsabilità che potrebbero discendere da atteggiamenti ostativi, o non collaborativi, non può, di certo, passare inosservato: “aumenta il numero dei comportamenti fatti oggetto di biasimo – delle azioni, cioè, rispetto a cui la minaccia risarcitoria può operare come deterrente. O si aggiunge comunque, nei calcoli del potenziale danneggiante una ragione contabile per desistere dall’azione” (Cendon, RCP, 2000, 1251 ss).

Non si era ancora arrivati a tanto; non con il precedente giurisprudenziale, costituito dalla sentenza del Tribunale di Roma del 13.6.2000 (DFP, 2002, 60). In quel caso, il padre non affidatario, impedito dalla madre, costantemente e in modo continuativo, nel rapporto di frequentazione con il figlio, ottenne il risarcimento del danno sia morale, sia biologico; d’altra parte, la quantificazione di tali voci di danno venne ancorata ai valori adottati per le cd. invalidità micro- permanenti.

In pratica, si riconobbe la meritevolezza della posizione del genitore bistrattato, ma la riparazione fu più blanda, poiché ancorata ai criteri risarcitori propri del danno biologico e, oltretutto, del danno biologico “micro”; tanto che, a commento di quella sentenza, venne rilevato che “forse, soprattutto là dove la sentenza ipotizza, tra l’altro, l’incidenza del comportamento dell’ affidataria sulla vita di relazione del danneggiato, si poteva richiamare la figura del danno esistenziale” (Dogliotti, DFP, 2002, 60).

Quell’istanza trova accoglimento, finalmente, nella sentenza qui annotata, mediante la quale gli innovativi criteri valutativi della responsabilità civile vengono estesi alla condotta ostacolante del genitore affidatario.

Il tema della responsabilità civile in famiglia non è nuovo, avendo trovato molteplici espressioni anche in termini di riconoscimento del danno esistenziale: basti ricordare la nota sentenza n. 7713/2000 della Corte di Cassazione (relativa all’ostinato rifiuto del genitore non affidatario di apprestare i mezzi di sussistenza per il figlio), e la recente sentenza del Tribunale di Venezia del 30 giugno 2004, la quale ha stigmatizzato il protratto e pervicace disinteresse di un padre verso la propria figlia.

Nuova è l’attenzione all’importanza della relazione affettiva tra genitore non affidatario e figlio, alla salvaguardia di essa in tutti i casi in cui l’altro genitore si renda autore di una condotta impeditiva ed ostruzionistica.

Nota pubblicata in D&G 2005, fasc. 13, 31.