Il danno da disinteresse paterno deve essere provato

Scritto il 16 Maggio 2006 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Una decisione apparentemente paradossale e ingiusta. L’attrice, figlia naturale trentenne- lamenta una serie di comportamenti rifutanti e lesivi da parte del padre, chiedendone la condanna in sede aquiliana.
Tra gli addebiti mossi al padre, il fatto che questi avrebbe indotto la figlia a sottoporsi a test genetici al fine di accertarne la paternità.

Il tribunale di Ravenna rigetta la domanda e la decisione viene confermata dalla corte d’appello bolognese.

Un sentenza che sarà apparsa paradossale, dicevamo. Non soltanto, infatti, viene respinta la domanda risarcitoria, ma viene accolta la domanda riconvenzionale del padre di esonero dall’obbligo di mantenimento nei confronti della figlia, la quale, ormai trentenne – osserva la corte- deve attivarsi per trovare un lavoro.
Una decisione, allora apparentemente ingiusta ed insensibile, la quale, d’altra parte, trova motivazione nel rilievo che l’appellante aveva mancato di provare i denunciati comportamenti paterni, trascurando, altresì, di additare quelle circostanze di fatto, e quegli elementi dai quali il giudicante avrebbe potuto trarre, quanto meno, un convincimento di tipo presuntivo.

Ecco, allora, confermato il rilievo della natura di ‘danno-conseguenza’ propria del danno non patrimoniale, il quale – non coincidendo con la lesione dell’interesse protetto – deve essere allegato e provato, sia pure con il ricorso a presunzioni (in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. Un. n. 6572/2006 e, in materia familiare, Cass., sez. III, 13546/2006, che possono leggersi in www.personaedanno.it ).

Certo che – ciò che non può mancarsi di osservare- il giudice ben avrebbe potuto, a fronte delle allegazioni attoree, avvalersi dell’interrogatorio non formale delle parti al fine di trarne gli elementi in ipotesi fondanti un convincimento di tipo presuntivo.
La Cassazione ha, infatti, più volte sottolineato la valenza del libero interrogatorio quale possibile fonte, anche unica, del convincimento del giudice, al quale è riservata la valutazione circa la concludenza e attendibilità delle dichiarazioni in tal modo rese (Cass. n. 6510/2004; n 7002/2000; n. 10497 /1998).

 

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