Che potere hanno, oggi, in Italia i Servizi Sociali che si occupano di minori?
La risposta in questo provvedimento esemplare (Trib. Min. Emilia-Romagna, 8 luglio 2010, pres. rel. Stanzani), nel quale tanti sono (mi sia concesso) i passaggi esaltanti:
(i) così, in apertura della parte motiva, la proclamazione dell’importanza, nell’ordinamento, del diritto primario e di rango costituzionale, di cui è titolare ogni bambino, ovverossia il diritto di venire allevato nella propria famiglia. Un dato assodato – qualcuno potrebbe obiettare – ma è ben noto come purtroppo non sia sempre così.
Vi si dice anche che l’attenuazione o ablazione del diritto alla famiglia si giustifica soltanto allorchè manchino in modo irreversibile, da parte di papà e mamma, quel minimo di cure materiali, di calore affettivo e di aiuto psicologico che sono indispensabili per crescere;
(ii) di particolare pregio, poi, la ‘conta’ degli elementi che, nella specie, conducono ad escludere i presupposti per procedere all’accertamento dello stato di abbandono;
(iii) paradigmatico (e speriamo che faccia strada) l’ uppercut inferto al provvedimento amministrativo assunto dai Servizi Sociali ex art. 403 c.c.: e qui non usa mezzi termini il giudice nello stigmatizzare simile iniziativa per essere stata assunta “con una leggerezza tanto ignara dei primari diritti di rango costituzionale coinvolti, quanto incomprensibile sul piano umano”;
(iv) particolarmente sferzante, ancora, il giudizio espresso riguardo all’inadempimento dei Servizi Sociali: il primo decreto provvisorio aveva disposto doversi favorire la massima frequenza di incontri tra la minore collocata in comunità e i congiunti, mentre gli operatori avevano ritenuto che siffatta regolamentazione fosse al momento prematura e inopportuna; così, superando e disattendendo le stesse determinazioni del giudice.
Un provvedimento tutto da leggere, insomma.