E’ circolata nei giorni scorsi la notizia di una riforma legislativa che prevederebbe, per la donna vedova o divorziata che si risposi, la possibilità di cambiare il cognome del figlio di primo letto, sostituendo a quello del primo marito il cognome del secondo.
La notizia ha suscitato vive e ben comprensibili polemiche, con una vera e propria alzata di scudi di varie associazioni e cittadini contro il Governo Monti.
Da una verifica approfondita è però possibile chiarire il reale stato delle cose: dalle fonti istituzionali (sito del Governo e sito del Ministero della Giustizia) risulta che, nella seduta del 26 febbraio, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di un DPR che andrà a modificare l’attuale assetto dello stato civile (attualmente regolamentato dal DPR n. 396 del 2000).
Ma, le norme del 2000 che vengono modificate non si occupano del cognome del figlio; esse introducono nuove regole procedurali per il cambiamento del cognome in genere (l’innovazione fondamentale è che le domande andranno rivolte al Prefetto e non più al Ministero dell’Interno, e ciò dovrebbe, nelle aspettative, snellire la trafila).
Perché allora tanta preoccupazione?
Evidentemente, la miccia è da rinvenire nella relazione al progetto (anch’essa pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia).
Vi si legge, infatti, che le varie domande di cambiamento del cognome che generalmente vengono presentate rientrano in tre tipologie. Tra queste viene indicata “l’istanza della donna divorziata o vedova risposata che chiede di aggiungere per i figli il cognome del nuovo marito a quello del primo” e altresì l’istanza della donna nelle condizioni suddette che chiede di “sostituire il cognome del nuovo marito a quello del primo”: riguardo a queste ultime la relazione precisa però che esse non vengono mai accolte dall’autorità competente.
Dunque, non ci troviamo di fronte alla modifica normativa paventata.
Un sottile filo di inquietudine rimane, però, in relazione al fatto che – così sta scritto nella relazione – verrebbero invece generalmente accolte le domande di aggiunta (non di sostituzione) del cognome del secondo marito a quello del primo: non vi è, infatti, nell’ordinamento una disposizione che preveda tale possibilità.