Da oggi, in Italia, si potrà ricorrere alla fecondazione eterologa per realizzare il sogno di diventare genitori. È stato, infatti, eliminato il divieto contenuto nella legge n. 40 del 2004 che tanto ha fatto discutere, da dieci anni a questa parte.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, ha infatti dichiarato incostituzionale la parte della legge n. 40 del 2004 che vietava la fecondazione eterologa, ovverosia la possibilità per la coppia di ricorrere ad un donatore esterno in caso di infertilità assoluta dell’uomo o della donna.
La pronuncia di illegittimità costituzionale ha riguardato, nello specifico, l’art. 4, comma 3 della legge, nella parte in cui stabilisce per la coppia il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute.
La bocciatura della Consulta ha riguardato anche ulteriori disposizioni della legge n. 40 collegate all’art. 4 comma 3.
La motivazione – lunghissima ed articolata – si sofferma sulle molteplici ragioni che rendono irrazionale oggi il divieto eliminato.
Ma, attenzione: sarebbe un errore concludere che, dopo questo atteso pronunciamento del Giudice delle Leggi, si possa diventare genitori mediante fecondazione eterologa senza più limiti.
Tale metodo procreativo è destinato, infatti, alle coppie che non possono procreare a causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili derivate da una patologia oggettivamente accertata. Il ricorso a questa tecnica, inoltre, non diversamente da quella di tipo omologo, deve osservare i principi di gradualità e del consenso informato stabiliti dal comma 2 dell’art. 4.
Queste, in estrema sintesi, le argomentazioni della Corte.
Dopo avere ricordato che, prima del 2004, l’applicazione delle tecniche di fecondazione
eterologa era lecita ed ammessa senza limiti nè soggettivi nè oggettivi e che l’eliminazione del divieto non viola i principi posti dalla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 (che solo vieta la PMA a fini selettivi ed eugenetici), la Consulta individua le diverse prerogative soggettive che vengono violate dal divieto in esame, e così:
– il diritto dei componenti della coppia totalmente sterile a divenire genitori e formare una famiglia con figli, espressione della libertà di autodeterminarsi, libertà che potrebbe subire limitazione soltanto se si tratti di tutelare interessi di pari rango non altrimenti tutelabili;
– il diritto alla salute, «nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute pischica oltre che fisica» significato che corrisponde alla nozione sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovverossia come “possesso del migliore stato di sanità possibile”.
A tale riguardo, anzi, la Consulta osserva come sia certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla fecondazione di tipo eterologo possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto.
È un passaggio questo che mette in risalto l’approccio umanistico dell’Alta Corte, segno -evidentemente – che il tradizionale stile decisionale della magistratura italiana (decidere senza preoccuparsi delle ricadute sulla vita delle persone) è avviato verso un inevitabile declino.
Ci tiene, poi, la Corte a precisare ( e bene fa) che non si tratta di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei componenti della coppia piegando la tecnica a fini consumistici e che deve escludersi in radice la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa per illegittimi fini eugenetici.
Del resto – aggiunge la Consulta – la tecnica di fecondazione eterologa mira a favorire la vita, mentre le sole eventuali problematiche che ne possono conseguire riguardano il tempo successivo alla nascita, e dunque la persona del nato, ma si tratta di problematiche per le quali già la legge contiene la regolamentazione.
Più esattamente, e in virtù dell’art. 8 della legge n. 40, non è in dubbio lo stato di
figlio nato nel matrimonio o di figlio riconosciuto della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita, siano esse di tipo omologo o eterologo.
Ed è altrettanto certa l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità.
E fuori di ogni ipotizzabile dubbio è, poi, l’inesistenza di forme di relazioni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato.