Da qualche tempo si parla sempre più spesso di cure con cellule staminali (tecnicamente, infusione o trapianto di cellule staminali mesenchimali – “Protocollo Stamina”).
Già in diversi casi, pazienti e familiari di pazienti portatori di malattie molto gravi hanno ottenuto dal giudice l’autorizzazione alla somministrazione di dette terapie; e questo sia prima che dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 24 del 25 marzo 2013 che ha regolamentato la materia, sia pure generando una disparità di trattamento tra pazienti.
Non sempre, allora, è chiaro che cosa sia possibile fare e cosa no, quali siano i casi in cui l’accesso al Protocollo Stamina sia consentito senza doversi rivolgere al giudice, e in quali casi, al contrario, l’interessamento del tribunale si renda necessario.
Semplificando, le cose stanno così:
Prima del D.L. n. 24/2013
Tutto ha inizio nel settembre 2011, quando viene stipulata tra gli Spedali Riuniti di Brescia e Stamina Foundation una Convenzione per la somministrazione dei cd. “trattamenti compassionevoli”, disciplinati da un D.M. del 2006. La cura compassionevole è autorizzata da detto Decreto Ministeriale, semprechè ricorrano i presupposti ivi indicati: il presupposto fondamentale è la mancanza di una valida alternativa terapeutica in casi di urgenza che pongano il paziente in pericolo di vita o di grave danno alla salute nonché nei casi di grave patologia a rapida progressione.
Questo trattamento è nella sostanza diverso da una terapia sperimentale, assoggettata ad un rigido protocollo di approvazione (regolamentato da altra legge).
Sulla base della Convenzione predetta, una bambina veneta, di appena un anno, viene sottoposta, su richiesta dei genitori, alle infusioni a base di cellule staminali, in quanto affetta da una patologia neurodegenerativa, progressivamente invalidante e ad esito letale nella maggior parte dei casi nei primi 18 mesi di vita (morbo di Werdnig-Hoffman), per la quale non esistono cure sperimentate idonee neppure a rallentarne il decorso. Le prime infusioni (effettuate tra gennaio e ottobre 2011) danno risultati di rallentamento della malattia.
Ma nel maggio 2012, a seguito di ispezione dei NAS ordinata dalla Procura di Torino, un’ordinanza dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) vieta la prosecuzione del trattamento. Alla base del provvedimento, la mancanza delle condizioni di legge per l’effettuazione di terapia sperimentale. Eppure, il trattamento sospeso non era stato effettuato come terapia sperimentale, bensì sulla base del protocollo e dei requisiti per la ‘cura compassionevole’. Il Tribunale di Venezia, con ordinanza cautelare del 31.8.2012, autorizza il trattamento, ordinando in via d’urgenza agli Spedali Civili di Brescia la ripresa delle infusioni.
Dopo pochi mesi, analoga soluzione viene accolta dal Tribunale di Trento, nell’interesse di un’altra bambina in tenera età (ordinanza cautelare del 20.11.2012). Tutto questo si verificava prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 24 del 2013.
Cosa ha previsto il D.L. n. 24/2013
La nuova legge contiene due previsioni fondamentali:
– da un lato prevede lo svolgimento di una sperimentazione terapeutica sull’impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità, e da completarsi entro fine 2014
– al contempo, autorizza la prosecuzione e il completamento di trattamenti a base di cellule staminali mesenchimali su singoli pazienti e presso strutture pubbliche, i quali siano stati avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto.
Se, dunque, detti trattamenti erano già in essere alla data del 25.3.2013, nulla osta alla loro prosecuzione. Nessuna chance, invece, per le cure compassionevoli a base di cellule staminali da avviarsi successivamente a quella data.
Cosa fare per superare l’impedimento e avere accesso al Protocollo Stamina
La previsione di cui sopra, contenuta nel D.L. n. 24, ha pertanto dato luogo ad una vistosa disparità di trattamento, la quale contrasta con principi fondamentali, tra cui il diritto alla salute e alla dignità personale.
Da qui, la reazione risolutiva di alcuni giudici sensibili ed evoluti, i quali hanno ordinato la somministrazione della terapia a base di cellule staminali mesenchimali secondo il Protocollo Stamina. I provvedimenti in discorso vanno susseguendosi: ricordiamo Trib. Mantova, 2.5.2013 (Giudice dr.ssa Gerola); Trib. Gorizia, 9.5.2013 (Giudice dr.ssa Gallo); e si aggiungono, nel mese di Giugno 2013, i giudici di Imperia e di Chiavari a favore di due malati di SLA.
Qualora, dunque, al paziente interessato venga rifiutato il Protocollo Stamina – ciò che i sanitari sono tenuti a fare, tutto sommato, data la previsione della legge – potranno superare tale rifiuto rivolgendosi al Giudice e ottenendo così l’autorizzazione al trattamento.
A tal fine, sarà sufficiente rivolgersi ad un avvocato competente in materia per fare in modo che, dopo un’accurata verifica delle condizioni necessarie, il ricorso giudiziale venga impostato correttamente e presentato al giudice competente sia per territorio sia per materia.
Logicamente, non può ritenersi a priori che il ricorso sarà accolto nella totalità dei casi, dato che ogni giudice svolgerà una propria valutazione, pervenendo alla soluzione che reputi più congrua.
Nondimeno, un approccio sensibile e attento porterà il giudice a considerare come anche il diritto alla speranza sia meritevole di tutela, poiché strettamente legato alla dignità della persona che soffre e dei suoi familiari.