Le pagine odierne dei quotidiani presentano la notizia come una sorta di novità assoluta: l’errore medico che determina lesione fisica all’apparato riproduttivo di una donna comporta il diritto della vittima al risarcimento del danno non patrimoniale.
Una conclusione del genere – quale accolta dalla recente sentenza di Cassazione n. 11958/2010 – non si traduce, in realtà, nell’affermazione di un principio rivoluzionario.
E, difatti, è da tempo assodato che la lesione dell’integrità fisio-psichica che investa l’apparato ginecologico è destinata a produrre ripercussioni di vario genere a carico della vittima: non soltanto, cioè, il danno biologico, ma anche il danno morale, e altresì il danno esistenziale che si collega alla rinuncia forzosa all’attività sessuale.
Quest’ultima costituisce, infatti, attività realizzatrice fondamentale della persona; tanto che – già nell’ormai lontano 1986 – la Cassazione attribuì il risarcimento del danno non patrimoniale anche al marito della vittima ‘diretta’ della lesione; anche il coniuge, infatti, aveva subito – da quel medesimo errore medico – l’impedimento alla vita sessuale, nel matrimonio.
Occorrerà, comunque, attendere la motivazione per comprendere meglio che cosa la Cassazione abbia inteso effettivamente riconoscere: se cioè il danno morale (ovverossia la sofferenza interiore determinata dall’evento), così come annuncia la stampa, o piuttosto (o anche) il danno esistenziale. E ciò sarebbe nondimeno coerente sia con il principio del risarcimento integrale affermato anche dalle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, sia soprattutto con la effettiva natura del ribaltamento che, nel caso di specie, non può non essersi prodotto, ovverossia la rinuncia forzosa ad un’attività realizzatrice di importanza centrale nell’esistenza quotidiana della persona. (Rita Rossi)
Pubblichiamo, qui di seguito, la notizia tratta da www.adnkronos.com:
Roma, 18 mag. (Adnkronos)- Chi non riesce più a fare sesso dopo un intervento sbagliato ha diritto ad ottenere un cospicuo risarcimento per i danni morali patiti. Lo sottolinea la Cassazione sostenendo che la mancata attività sessuale in una coppia deve essere calcolata come vero e proprio danno morale in quanto viene meno “la stessa essenza della vita coniugale”.
In questo modo la terza sezione civile (sentenza 11958) ha accolto il ricorso di una 40enne di Roma, Silvia P. che, ricoverata presso la Asl 24 di Monterotondo, in occasione del travaglio del parto, era stata sottoposta ad un delicato intervento per agevolare la fuoriuscita del neonato ma la partoriente riportava lesioni gravi permanenti con irreversibile incontinenza anale.
Risultato la coppia non riusciva più ad avere rapporti sessuali. Riconosciuta la colpa professionale del medico e della Asl il Tribunale di Roma, nel giugno 2001, condannava la Asl e l’assicurazione a risarcire la coppia riconoscendo a Silvia P. danni morali soltanto nella misura del 30%. Un risarcimento che la giovane donna ha ritenuto troppo basso vista l’impossibilità di potere avere una normale vita di coppia.
Piazza Cavour ha accolto il suo ricorso e, rinviando il caso alla Corte d’Appello di Roma, ha evidenziato che in casi del genere deve essere considerato anche “il pregiudizio non patrimoniale consistente nella sofferenza morale determinata dal non poter fare e quindi anche la menomazione di quella particolare dignità della affectio coniugalis nelle sue manifestazioni amorose”. Infatti, annotano ancora i supremi giudici, “il danno morale esige il rispetto della persona specie in relazione alla particolare natura che incide direttamente sui rapporti di coniugio“.
Nel caso in questione, la suprema Corte rileva che “il pregiudizio serio attiene al valore costituzionale del matrimonio e della sua vita comune e pertanto non si tratta di sola salute, ma della stessa essenza della vita coniugale”. Sarà ora la Corte d’Appello della capitale a stabilire il giusto risarcimento per Silvia P. che, dopo l’intervento sbagliato post parto, non può più avere rapporti sessuali con il marito.