Consenso sanitario informato: non basta una firma

Scritto il 20 Maggio 2014 in Dc-Danno non Patrimoniale Risarcimento Danni

Per la valida prestazione del consenso sanitario informato non basta una firma del paziente su un foglio prestampato in cui sono contenute informazioni spesso del tutto generiche sul tipo di intervento da affrontare. Un sistema del genere non soddisfa, infatti, l’esigenza di garantire al paziente un consenso veramente informato e non libera il medico dall’obbligo corrispondente.

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19220 del 20 agosto 2013, la quale ha cassato in parte una decisione della Corte d’appello di Roma. Questa aveva rigettato la domanda di un avvocato, il quale, successivamente ad un intervento agli occhi non riuscito, aveva chiesto il risarcimento dei danni al chirurgo, sostenendo tra le varie doglianze che il medico non lo aveva informato sulla possibilità di un esito negativo dell’operazione.

La Corte d’Appello  – questo il responso dei giudici della Cassazione – aveva a torto ritenuto esaurientemente informato il consenso prestato dal paziente; e ciò per il fatto che lo stesso era un avvocato e che, di conseguenza, era presumibile che il soggetto avesse vagliato tutte le conseguenze del caso prima di sottoscrivere il modulo.

Tralasciando qui le considerazioni riguardo alle modalità di raccolta della firma (ad opera di una segretaria, nella penombra di una sala d’aspetto, su di un foglio prestampato), appaiono interessanti le parole spese dalla Suprema Corte riguardo al consenso informato e alla sua accezione specifica.

Gli ermellini rilevano – sul solco tracciato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 438/2008 – che il consenso sanitario informato vada inteso quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico, configurandosi così come un vero e proprio diritto della persona, scisso in due ulteriori diritti: quello all’autodeterminazione e quello alla salute.

Cercando di chiarire il concetto sopra esposto si potrebbe affermare che il paziente dovrà sempre ricevere delle informazioni il più esaurienti possibili, in maniera tale da potersi prefigurare esattamente e con chiarezza quello che sarà l’iter terapeutico e gli eventuali esiti negativi dello stesso; solo in questo modo, infatti, il paziente potrà essere libero di prendere una propria autonoma decisione e di determinarsi al meglio riguardo alla tutela della propria salute.

Dovrà, così, trattarsi di un consenso:

– personale e, cioè, prestato dal paziente stesso (escludendosi i casi in cui vi sia incapacità di intendere e volere ovviamente);

– specifico ed esplicito;

– reale ed effettivo, non potendo bastare una mera presunzione di consenso;

– attuale.

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Saranno, pertanto, irrilevanti le qualità personali del paziente al fine di verificare se vi sia stato o meno un valido consenso sanitario informato; le capacità individuali del soggetto incideranno, piuttosto, sulle modalità dell’informazione che dovrà sostanzialmente ‘adeguarsi’ al livello culturale del paziente, utilizzando il linguaggio più opportuno.

Il consenso, dunque, dovrà essere sempre completo, effettivo e consapevole e sarà onere del medico provare di aver adempiuto tale obbligazione nel caso in cui il paziente abbia allegato un suo inadempimento.

Infine, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, la Corte di Cassazione ha ribadito che è irrilevante la circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno essendo, tale violazione, autonoma.

Questa sentenza, in un mondo nel quale l’automazione e la fretta tendono sempre più a spersonalizzare i rapporti umani in tutti i vari settori, compreso quello medico sanitario, rappresenta un faro per la migliore comprensione delle regole relative alla prestazione e alla raccolta del consenso informato; in questo modo si garantiscono al paziente che dovrà sottoporsi ad un intervento chirurgico tutti (o quasi) i mezzi necessari per affrontarlo con consapevolezza, essendo cioè pienamente consapevole di ciò che potrebbe accadere.

Questa sentenza sia da memorandum per i medici, i quali hanno infatti il dovere di instaurare un rapporto personale con il paziente in procinto di andare in sala operatoria, il quale ha il diritto di ricevere le informazioni sui rischi dell’operazione con un linguaggio il più vicino possibile a lui.

Infatti, non bisognerebbe dimenticare mai che di fronte ai medici vi è un essere umano (spesso spaventato) e non semplicemente una malattia od un’ ‘altra’ operazione chirurgica di routine (o meno) da eseguire. (F.T. e R.R.)