Compiti dell’Ads: rappresentanza esclusiva? Meglio quella semplice

Scritto il 16 Aprile 2010 in Amministrazione di Sostegno DC-Amministratore di sostegno (compiti)

Le alternative prospettate dall’ art. 409 c.c. sono due soltanto: compitii di rappresentanza esclusiva, oppure compiti di assistenza necessaria.
Stando sempre alla previsione formale, allorchè il g.t. attribuisca all’ads compiti di assistenza necessaria, l’amministratore interverrà nell’atto o nel contratto insieme  all’amministrato, con firma congiunta, dunque. A ciò corrisponderà una (pur minima) limitazione della capacità di agire del beneficiario dell’AdS.
Nel caso, invece, di rappresentanza esclusiva, la limitazione della capacità di agire del beneficiario sarà più penetrante; infatti, il beneficiario verrà rappresentato dall’ads ed escluso dalla scena negoziale.
Qualunque sia, la sovranità gestionale del beneficiario subirà, dunque, una riduzione, più o meno ampia.

E quando far capo all’una o all’altra modulazione dei poteri del vicario?
Molto dipenderà, beninteso, dall’importanza/pervasività dell’intralcio gestionale del beneficiario; dipenderà, in altri termini, da quanto il soggetto debole risulti privo di autonomia. Ma serve qualcosa di più: non basta, cioè, che venga riscontrata la mancanza di autonomia, per incapacitare l’amministrato.
Occorre che la messa fuori gioco totale del beneficiario venga resa necessaria dal dover impedire un male maggiore. Ecco, allora, ciò potrà farsi soltanto allorchè il beneficiario rischierebbe di porre in essere – se ne venisse conservata la capacità negoziale – atti distruttivi o comunque pregiudizievoli, per sé o/e per i propri beni.

Di quali casi potrebbe trattarsi ? Pensiamo ad una persona gravemente prodiga; o, ancora, a chi sia afflitto da un male della mente che lo porta ad assumere iniziative disinvolte o pericolose.
Non vi sarà necessità, invece, di utilizzare la scure (neppure quella, pur più morbida – rispetto all’interdizione – dell’amministrazione di sostegno incapacitante) allorquando l’interessato sia reso del tutto inerte o passivo dal male stesso che lo affligge (così, la persona in coma, il depresso grave, etc.).
Per questa categoria di persone è possibile pensare – e, anzi, la dottrina ha proposto e la giurisprudenza ne ha fatto applicazione – una scelta intermedia: si tratta di una rappresentanza per così dire semplice, ovverossia non esclusiva; rappresentanza tout court, come dire che l’amministratore di sostegno verrà investito del potere di agire in nome e per conto del beneficiario, mentre a tale forma di sostituzione nel fare negoziale non corrisponderà una limitazione della capacità di agire dell’interessato, non essendovene bisogno.

 

Ecco, allora, venendo a questo decreto del g.t. di Varese, già commentato, riguardo ad altro profilo.
Si potrebbe ritenere che i compiti attribuiti al vicario in termini di rappresentanza esclusiva e minuziosamente elencati (presentare istanze per il reinserimento lavorativo; accertare le condizioni economiche delle sorelle del beneficiario per ottenere l’assegno alimentare, programmare attività di recupero, etc. etc.) avrebbero potuto formare oggetto di un mandato di rappresentanza semplice?

La risposta affermativa discende, a mio parere, dalla considerazione della condizione stessa del beneficiario; questi, come bene descritto nella parte motiva del decreto, era un ex-ricco divenuto povero, senza più un quattrino in tasca, disoccupato, e talmente deluso ed avvilito dalla condizione esistenziale in cui era precipitato da non essere più in grado di far fronte alla vita di ogni giorno.
Evidentemente, nella descritta incapacità di adattamento alla nuova situazione di vita, il beneficiario è una persona passiva, inerte, ripiegata su se stessa, ben poco incline a farsi iniziatore di atti squilibrati e pericolosi.
La forma di rappresentanza non contemplata dal legislatore, ma accreditata nella law in action potrebbe – io credo – sopperire adeguatamente alle necessità gestionali dell’ interessato, evitando di avvilirlo ancora di più.

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