Una recente sentenza della Cassazione (n. 14232/2013) ribadisce il principio secondo il quale, nel caso di un figlio naturale di una coppia riconosciuto prima dalla madre e, solo successivamente, dal padre, non si può garantire alcun privilegio all’attribuzione del cognome paterno. Si dovrà, infatti, valutare caso per caso l’interesse superiore del minore a realizzare nel modo più pieno e sereno la sua identità personale.
Questa recente giurisprudenza rimane sulla scia delle precedenti pronunce della Suprema Corte che, sempre con maggior intensità, va delineando un percorso ben chiaro, rivolto alla precipua tutela del minore e dei suoi interessi.
Si ricordano, fra le diverse pronunce, le sentenze n. 4819/2009 e n. 9944/2012 che incentrano il loro interesse sulla figura del minore e sull’eventuale danno che lo stesso potrebbe subire se avvenisse una sostituzione o un affiancamento di cognome.
Preme puntualizzare infatti che, a differenza di quanto un retaggio antiquato potrebbe far pensare, l’aggiunta o la sostituzione del cognome paterno non sono le uniche opzioni consentite; qualora vi fosse l’accordo dei coniugi e/o nel caso in cui il Tribunale, nel migliore interesse del bambino, provvedesse a mantenere il cognome materno, il padre non vedrebbe soddisfatta la sua domanda. Si pensi al bambino non più infante che ha già potuto identificarsi con il cognome materno: l’aggiunta o, addirittura la sostituzione, potrebbero causare un disagio emotivo – relazionale di grave portata.
Sempre maggiori tutele vengono, giustamente, approntate per garantire l’interesse dei minori e il loro equilibrato e sereno sviluppo psico-fisico. Sulla scia delle Convenzioni stranazionali – New York 1989, Strasburgo 1996, etc – l’Italia sta lentamente recuperando il terreno perduto, garantendo piena tutela, piena voce e piene garanzie al minore.
(Federico Tufano)