L’ ammissibilità di una investitura vicariale per così dire ‘doppia’ non costituisce certamente una questione campale, sul versante della protezione dei deboli.
L’approccio favorevole con cui la questione è stata fin qui affrontata e risolta – con un sì generalizzato alla nomina di due amministratori di sostegno (le pronunce in argomento sono comunque scarse) ha contribuito a relegarla ad una posizione di second’ordine.
Con questo provvedimento si assiste, però, ad un’inversione di rotta, parziale a dire il vero: non è possibile nominare due amministratori di sostegno; è possibile, però consentire all’amministratore nominato di avvalersi di un ausiliario.
Mi sento di osservare, in primo luogo, che l’approccio formale-formalistico (del genere “la legge non lo prevede”) non è del tutto in linea con la ratio dell’istituto, ispirata invero alla predisposizione di risposte costruite ad hoc, a seconda cioè di quello che serva, nel singolo contesto concreto, per il bene del soggetto bisognoso.
Occorre, poi, domandarsi – sempre seguendo l’impronta segnata dal legislatore del 2004 – che cosa sia meglio per il beneficiario, contingentemente: talvolta magari, la nomina di due amministratori di sostegno potrà risultare sovrabbondante rispetto alle necessità gestionali (pensiamo all’anziano che debba soltanto riscuotere la pensione e presentare la dichiarazione dei redditi); talaltra il doppio incarico si rivelerà, invece, quanto meno opportuno, a seconda della complessità dell’incarico da svolgere.
Perché, poi, pensare che la scelta di un ausiliario sia da preferire a quella del co-amministratore, quando si sa che questi opererebbe sotto lo sguardo vigile del g.t. ? Ciò non vale, viceversa, necessariamente, per il terzo ausiliario, figura peraltro indefinita e verosimilmente svincolata da un controllo diretto e stringente.
Ma, quali i casi in cui accedere alla doppia nomina ? Occorrerà, come già accennato, che il giudice valuti attentamente le ragioni per cui il sostegno rafforzato viene richiesto: si pensi, per esempio, ad un patrimonio che si compone di numerosi cespiti da amministrare, con riscossione di canoni locativi anche importanti (con ciò che ne consegue sul piano burocratico -fiscale); oppure, si immagini la complessità della gestione di un’azienda di cui il beneficiario sia titolare o socio accomandatario o amministratore, e via dicendo.
In casi del genere, la co-amministrazione potrebbe essere utilmente affidata ad un familiare per i profili più schiettamente personali (per es. manifestazione del consenso informato, gestione del bilancio domestico, gestione del conto corrente individuale, etc.) e ad un commercialista per i profili gestori propri dell’azienda.
Si tratta, dunque, di distinguere – come al solito – tra caso e caso; l’estrema versatilità è del resto la nota dominante dell’istituto; nei casi dubbi, dunque, è bene affidarsi non tanto alla rintracciabilità di una espressa previsione statutaria, ma piuttosto alla ricerca del famoso best interest per l’interessato.