Cass., sez. III Penale, 4 giugno 2013, n. 29735
La Corte Suprema torna nuovamente a parlare del risarcimento dei danni non patrimoniali in favore degli ascendenti della vittima, soffermandosi sui requisiti necessari e sul concetto di famiglia
Il caso concreto vedeva un uomo venire condannato in primo grado per il reato di omicidio colposo conseguente ad incidente stradale. Tale decisione veniva confermata in Appello.
L’imputato proponeva quindi ricorso in Cassazione, rilevando che la Corte d’Appello aveva omesso di pronunciarsi sul motivo di ricorso riguardante la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei nonni della vittima, oggetto di contestazione poiché gli stessi non convivevano con il nipote deceduto, ritenendosi la convivenza presupposto necessario per la richiesta iure proprio del risarcimento del danno.
Gli ermellini rigettavano il ricorso, rilevando come, sulla scorta di un’ampia dottrina e una giurisprudenza costante, gli ascendenti della vittima possano collocarsi pienamente tra i soggetti cui il reato arreca danno, sia sotto il profilo patrimoniale sia, sopratutto, sotto il profilo non patrimoniale. Si pone infatti in evidenza l’importanza del ruolo assunto nel tempo dai nonni quali supplenti dei genitori, impegnati spesso nei rispettivi lavori; tale aspetto, presente forse più nell’infanzia che nell’età adulta, non sminuisce il profondo legame che si va ad instaurare tra i nipoti e gli ascendenti materni/paterni.
La Corte di Cassazione chiarisce, poi, un’orientamento precedente (Cass., Sez. III Civile, 16 marzo 2012, n. 4253, che riprende Cass., Sez. III Civile, 23 giugno 1993, n. 6938) con il quale si individuava nella convivenza il “connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati“. Dalla lettura della motivazione, dice la Corte Suprema, “si evince che tale requisito (della convivenza n.d.r) è menzionato a mero titolo esemplificativo e non quale condizione necessaria per la risarcibilità del danno” e, più avanti afferma che “alla luce dei precedenti richiamati, non possa ritenersi determinante, come sostenuto dal ricorrente, il requisito della convivenza, poiché attribuire a tale situazione un rilevo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l’importanza di un legame affettivo e parentale la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote“.
La Corte, successivamente, prende le distanze dalla concezione nucleare della famiglia, incentrata sul coniuge, genitori e figli, affermando come risulti ben evidente che il matrimonio costituisca il presupposto giuridicamente fondante della famiglia, fondandosi sull’unione tra i coniugi ma che lo stesso crei anche evidenti vincoli tanto con i discendenti che con gli ascendenti dei coniugi, potendo riscontrare queste affermazioni in molteplici articoli del codice civile, i quali collocano i nonni, in maniera certa, all’interno del nucleo familiare.
Questa sentenza, sulla scia di una sempre più ampia giurisprudenza in merito, va a toccare alcuni aspetti sensibili della famiglia, andando a valorizzare il ruolo e l’importanza degli ascendenti, sempre più spesso parti attive nella tutela dei minori e delle loro inalienabili necessità. (Federico Tufano)