Una bambina di tre anni è stata data in affidamento temporaneo a due omosessuali, stabilmente conviventi. Il tribunale per i minorenni di Bologna ha ratificato questa scelta dei Servizi sociali di Parma.
Secondo quanto si apprende dai giornali, la necessità di collocare la bambina in un contesto familiare diverso da quello della famiglia d’origine era sorto dalle difficoltà esistenziali della madre e dall’assenza del padre. Su tale punto, sulla necessità, cioè, di questa misura in favore della piccola pare non vi fossero dubbi nè contestazione da parte dei genitori; e questo, per fortuna, a differenza di quanto accade in molti altri casi, in cui i genitori si vedono allontanare improvvisamente un figlio, senza troppi complimenti e talvolta senza neppure sapere perchè.
Qui, stando alle notizie della stampa, la madre stessa come pure il padre erano consapevoli della necessità che la loro bambina venisse affidata temporaneamente ad altri.
In questa situazione, la scelta della coppia omosessuale (da parte dei Servizi sociali) è stata ritenuta valida dal giudice minorile per le caratteristiche stesse della relazione che già legava tra loro la bambina e coloro che lei chiama “zii”.
I due omosessuali, infatti, abitano vicino alla famiglia e già da tempo conoscevano e frequentavano la piccola, e l’assiduità della loro attenzione amicale aveva reso, verosimilmente, quel rapporto un rapporto speciale e privilegiato. Che poi i due ‘zii’ dai quali la piccina verrà ora accudita siano due persone omosessuali per la piccola probabilmente costituirà un elemento poco rilevante, anzi per nulla affatto rilevante.
La nuova collocazione familiare, infatti, se verrà gestita secondo le regole di legge, dovrà assicurare alla minore la prosecuzione del rapporto con i genitori biologici, in attesa ed in vista del loro ricongiungimento con la figlioletta, una volta superati i problemi attuali.
La bambina, dunque, vivrà insieme a due “zii” che già conosce e a cui è affezionata, e che cercheranno di favorire il rapporto con la mamma.
Guai però se la nuova destinazione dovesse protrarsi sine die, come purtroppo in altri casi è avvenuto (durante la vecchia gestione del tribunale minorile emiliano), e se la piccola, di conseguenza, dovesse cominciare a considerare propri genitori gli affidatari; a meno che – beninteso – la famiglia biologica non ce la faccia proprio a recuperare le risorse genitoriali necessarie alla buona crescita della figlioletta (ciò che andrà verificato con rigore estremo).
Ma, beninteso, i guai a cui accenno non deriverebbero alla minore dal fatto di ritrovarsi a vivere per anni con due affidatari omosessuali, quanto piuttosto dal fatto che, a quel punto, detti affidatari non potrebbero averla in adozione, sulla base delle norme in vigore.
Ecco, allora, che la piccolina sarebbe costretta una seconda volta a cambiare famiglia, con un trasbordo della propria anima e dei propri sentimenti verso una destinazione nuova e ignota e ad elaborare la perdita non soltanto di mamma e papà, ma anche dei due amati ‘zii’.
Ben venga, allora, l’accoglienza trionfante della stampa e di larga parte dell’opinione pubblica per questa soluzione, e a questo plauso mi associo con franca soddisfazione: direi anzi che questa decisione è destinata a segnare il nuovo corso della giustizia minorile emiliana.
E se gli omosessuali divengono i veri “trionfatori” di una decisione come questa, pur non essendone i diretti destinatari, dato che essa socchiude in un certo senso le porte al diritto alla genitorialità anche per loro, non meno importante è il risultato utile per i bambini in difficoltà e le loro famiglie: si apre, infatti, l’era dell’attenzione alla situazione concreta, ai sentimenti, ai vissuti, a ciò che occorre nel caso concreto per assicurare una giustizia a misura d’uomo e di bambino. Senza abbassare la guardia, però.