Affidamento, collocazione, maternal preference.
All’inizio la questione era l’affidamento. Ricordo quanti padri lottavano per poterlo condividere.
Poi, la questione è diventata la collocazione. Ricordo quando i giudici hanno inventato questo pseudo istituto giuridico, non previsto dalla legge, e quando la Cassazione lo ha consacrato.
Erano passati alcuni anni dalla riforma del 2006 e le lancette della storia tornarono indietro perchè, attraverso la collocazione presso la madre (prevista nella quasi totalità dei casi), nei fatti venne restaurato l’ anciene régime dell’affidamento monoparentale.
Una stretta ulteriore al principio della bigenitorialità è arrivata in tempi a noi vicini, allorquando la Cassazione ha indicato quale criterio elettivo per decidere dove collocare i figli minori dei genitori in conflitto, la cd. maternal preference.
Perchè lo fai? Verrebbe da chiedere alla Cassazione, facendo l’eco alla band rivelazione di San Remo.
Già, perchè affermare che il criterio della “preferenza materna” ha valenza scientifica?
Come ha evidenziato il bravo giudice Buffone di Milano, nella decisione dell’Ottobre 2016 che ha rintuzzato le tesi della Corte Suprema, la preferenza materna non costituisce un criterio giuridicamente rilevante: esso non trova riscontro nelle norme nel codice civile nè nella Carta Costituzionale ed è anzi superato dal principio di bigenitorialità sancito dalla legge.
Affermare che i figli minori debbano essere ‘collocati’ in via preferenziale presso la madre equivale a sostenere che tale scelta vada compiuta sulla base di un criterio di genere, con buona pace del diritto del bambino ad accedere ad entrambi i genitori.
Recentemente, anche la Corte d’Appello di Catania ha preso posizione contro il criterio della maternal preference; lo ha fatto in una decisione del Luglio 2017 affermando che detto principio “ancorchè sostenuto da esperti e da letteratura scientifica “non può essere assunto come verità indiscutibile, da applicare sempre e comunque in maniera avulsa dal caso concreto e dalle specifiche esigenze del minore” e che la scelta va compiuta “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole, da valutare nel caso concreto“.
Nel caso deciso, la bambina di dieci anni era stata ascoltata dai giudici ed aveva espresso il desidero di continuare a vivere nell’ambiente in cui aveva i propri riferimenti. E detti riferimenti erano stati indicati dalla bambina stessa nel papà e nella mamma (dunque, in entrambi i genitori), nella nonna paterna, descritta dalla bambina come quella che “cucina bene”, nell’amica del cuore e nell’ambiente scolastico.
Era quindi emerso che la madre non avrebbe garantito la conservazione di detto insieme di riferimenti, dato il proprio proposito di trasferirsi altrove; il padre, invece, risultava in grado di assicurare alla figlioletta la continuità desiderata.
E la stessa Cassazione ha sia pur indirettamente contrastato il precedente decisum del 2016, con una sentenza del 10.05.2017 con la quale ha valutato inopportuno che i figli venissero collocati presso la madre poichè questa aveva coinvolto troppo in fretta il proprio compagno nella vita dei bambini.
Il revirement vero e proprio, tuttavia, non è ancora arrivato. E viene da chiedersi davvero perchè i Supremi Giudici non abbiano ancora trovato modo di riparare a quel dictum inopportuno, anacronistico e contrastante con il principio di rispetto della bigenitorialità.