(Trib. Prato, decr. 8 aprile 2009)
Nonostante i pareri discordi e le critiche anche aspre mosse al provvedimento pilota (decr. Stanzani 5 novembre 2008), anche la giurisprudenza toscana mostra di aprire con fiducia le porte all’Ads, sul terreno delle scelte di fine vita.
E il file rouge che lega quest’ultimo provvedimento pratese alla prima decisione è di tutta evidenza.
Medesime le argomentazioni svolte su un piano generale, riguardo al dovere di rispettare le determinazioni di fine vita, quale espressione inequivoca di prerogative riconosciute a livello costituzionale (dagli artt. 2, 13 e 43 Cost.).
Corrispondenti altresì le considerazioni circa il dovere di assecondare le opzioni individuali quand’anche esse siano improntate al rifiuto delle cure, o alla interruzione di esse.
In tutto sovrapponibili – ancora – le riflessioni dedicate al valore da attribuirsi alle disposizioni impartite in via anticipata nel senso del rifiuto di trattamenti salvifici artificiali; disposizioni che oggigiorno possono essere efficacemente affidate – questo il punto qualificante delle decisioni – ad un atto scritto del disponente, atto cui autorizza espressamente l’art. 408 c.c.; atto la cui attuazione il disponente può anche assicurarsi in via preventiva, con la nomina anticipata di un amministratore di sostegno.
Vale rammentare come quest’ultimo passaggio sia stato contestato da taluni (mentre vi sono altresì pronunce in tale direzione) dato che – si è detto, sulla base di una lettura formalistica dell’art. 408 c.c. – per potersi nominare un amministratore di sostegno occorre che l’interessato già versi (al momento dell’attivazione del procedimento) in una condizione di mancanza totale o parziale di autonomia.
Dunque, non potrebbe un ingegnere (vedi la fattispecie di cui al decreto in commento) pienamente abile dal punto di vista fisico e psichico ottenere la nomina per sé di un amministratore di sostegno, in previsione di una condizione di bisogno soltanto futura ed incerta.
Già ho osservato – commentando il decreto emiliano – come le potenzialità applicative della nuova misura di protezione non possano essere contingentate sulla base di un ancoraggio rigido alla lettera della legge; tale approccio sarebbe assai distante dallo spirito che anima la riforma del 2004.
E quali, del resto, i reali motivi che dovrebbero convincere per un “no” netto e perentorio rispetto alle neo-applicazioni dell’istituto?
Potrebbe argomentarsi questo “no” con il fatto che con ricorsi di tal genere si andrebbe a scomodare inutilmente il giudice tutelare, e ad ingolfare la macchina della giustizia?
Sebbene non possa negarsi che gli uffici dei g.t. sono oggigiorno superaffollati, credo, comunque, che l’interpretazione evolutiva del diritto non possa venire condizionata dalla considerazione dei problemi organizzativi degli uffici.
Del resto, poi – c’è da crederlo – non è così numerosa la schiera di coloro che si affannano normalmente sui temi del “fine vita” (fatta eccezione, tutt’al più, per le rare occasioni in cui tali temi salgono alla ribalta delle cronache, cfr. il caso Englaro).
Piuttosto, ad orientare nella scelta, credo che dovrebbe essere una considerazione di questo genere: cosa accadrebbe se taluno, avendo formulato ed affidato ad un notaio le disposizioni di fine vita, ex art. 408 c.c., si trovasse improvvisamente un giorno nella condizioni che aveva ipotizzato, ma non vi sia tempo per la nomina di un amministratore di sostegno? Chi deciderebbe e che cosa, in simili frangenti?