Torna alla ribalta il danno esistenziale, e dopo questa sentenza appena sfornata della Cassazione (n. 22585 del 3 ottobre 2013 della III Sezione Civile) non sarà più ragionevole dubitarne.
Un ingegnere aveva riportato gravissime lesioni cadendo dal parapetto malsicuro delle scale all’interno del luogo di lavoro: un infortunio sul lavoro è, dunque, l’occasione per questa ampia sentenza, la quale riafferma altresì l’autonoma rilevanza e risarcibilità del danno morale.
“Esistenziale” – afferma la sentenza – “è quel danno che, in caso di lesione della stessa salute, si colloca e si dipana nella sfera dinamico relazionale del soggetto, come conseguenza, sì, ma autonoma, della lesione medicalmente accertabile”.
Riaffiora, dunque, il danno esistenziale come figura autonoma di danno, da risarcire cioè autonomamente, senza appiattimenti e dunque riduzioni nel momento della sua quantificazione.
Facciamo un esempio: se cado in un tombino sulla strada lasciato aperto incautamente dall’operaio del Comune, e mi fratturo un braccio, potrò reclamare nei confronti dell ‘ente il danno biologico, cioè il danno consistito nella frattura dell’arto, ma potrò pretendere, a parte ed in via autonoma, e dunque in più, il risarcimento per le attività che prima potevo svolgere con quel braccio, e che a seguito dell’infortunio, non posso più fare ( per esempio, suonare la chitarra, fare un viaggio in auto che avevo programmato, assistere un genitore anziano, etc.)
E l’autonomia del danno esistenziale – si legge nel seguito della pronuncia – ne comporterà la risarcibilità anche nei casi in cui un danno biologico non si sia verificato. L’esempio di risarcibilità del danno esistenziale non accompagnata dal risarcimento del danno biologico potrebbe essere quello della perdita del rapporto parentale, per morte di un congiunto.
Non è detto, infatti, che la perdita del congiunto in esito ad un evento traumatico imputabile ad un terzo procuri un danno biologico, ma quasi sempre produrrà un rilevante danno esistenziale (e altresì morale).
Scrive l’estensore della sentenza che i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo sono il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana e conclude: “Danni diversi e, perciò solo, entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie ed impredicabili generalizzazioni”.