Se scappa dalla comunità va interdetta

Scritto il 17 Novembre 2008 in Amministrazione di Sostegno Dc-Interdizione e Inabilitazione

Tra le ragioni che hanno dato vita alla nuova idea riformatrice (approdata nella presentazione in Parlamento di un PDL per l’abrogazione delle vecchie misure incapacitanti) vi è la resistenza che, ancora oggi, taluni settori della magistratura mostrano nell’affidarsi con fiducia all’ Ads.

Tre – volendo schematizzare – le posizioni emerse.

 

La prima fa capo, come noto, alla giurisprudenza piemontese (che ci ha regalato, per usare un eufemismo) pronunce dal sapore lombrosiano interdicendo una giovane anoressica e una donna down (in questi giorni su Sky c’è il film “La figlia del silenzio”, merita guardarlo!), con motivazioni che è davvero difficile poter giustificare.Poi c’è – all’estremo opposto – la giurisprudenza modenese, esempio luminoso di come dovrebbero andare le cose in tutta Italia.
E, in posizione per così dire intermedia, si colloca l’orientamento bolognese, evoluto – beninteso – ma con una coda di ‘resistenza’ che non è degna di questo tribunale.

L’ esempio più recente di questa visione ancora anacronistica è la sentenza del 17 novembre 2008 (verrebbe da chiedere, con un occhio al danno esistenziale, come erano disposti gli astri, in quella fatidica settimana !?)Il caso è questo. Una giovane donna è affetta da un disturbo di dipendenza da sostanze stupefacenti, e da HIV, con un disturbo di personalità non meglio qualificato in sede peritale.
La problematica principale di questa donna è la sua riluttanza a rimanere nelle comunità in cui si trova inserita: se ne allontana e dorme per strada.

L’esigenza da presidiare – si legge nella motivazione – è essenzialmente quella di scegliere le modalità di vita più adeguate ad aiutarla: scegliere le modalità di vita, ecco il punto.
La donna viene interdetta e nominato quale tutore l’ASL.

Il CTU parla di disturbo di personalità non altrimenti specificato, significativo deterioramento cognitivo, facile suggestionabilità; ma dice anche che tale deficit cognitivo consente all’interessata di muoversi adeguatamente solo se quotidianamente supportata.
Da tale quadro diagnostico, il giudicante conclude che la donna è affetta da una condizione di incapacità di attendere ai propri interessi e che di conseguenza deve essere interdetta, dato che l’Ads non è sufficientemente tutelante.

Un primo quesito, allora. Il quadro delineato dal CTU giustifica oggettivamente, oggigiorno, la messa in campo dell’interdizione? Dopo tutto quanto ci ha detto la Cassazione? O non siamo, piuttosto, in presenza di una persona in grado di muoversi adeguatamente se supportata?
Occorre, comunque, riconoscere che, perlomeno, la sentenza ci dice perché l’Ads non è sufficientemente tutelante: “occorre scegliere le modalità di vita della persona di volta in volta più adeguate, ed in sua vece (…) si tratta di scegliere il luogo di residenza della persona.
Da qui, un secondo quesito. Ma questo non può farlo l’ads?

Risposta del giudice. No, perché l’ art. 371 c.c. non è richiamato dall’art. 411 c.c. e il rispetto dell’ art. 13 della Cost. impedisce di applicarlo.
Domando, allora, possiamo davvero pensare che in nome della prerogativa tutelata dall’art. 13 Cost. non possa attribuirsi all’Ads il compito di scegliere il luogo di dimora del disabile psichico?

O per caso non stride di più con il rispetto della libertà personale, mettere fuori gioco per sempre la persona?

Non siamo di fronte, allora, ad una lettura rigidamente formalistica della disciplina dell’ads, che cozza inesorabilmente con la filosofia di fondo, con il sound del moderno sistema di protezione?

Abbiamo provvedimenti dell’area modenese che fiduciosamente affidano tali compiti all’ads. (per es. il decreto del 26 novembre 2008)
Credo fermamente che occorra puntare sul motivo della cura personae effettiva, sostanziale e accantonare sterili letture formalistiche.

C’è però anche di più nella sentenza in commento. Vi si legge, infatti: “Occorre agire in modo incisivo, a salvaguardia della sua incolumità personale. Per questo serve misura maggiormente tutelante. Anche il CTU lo ha detto che servono strumenti protettivi che la pongano al riparo da situazioni di grave rischio”. Cosa vuol dire questo, che l’interdizione consente interventi contenutivi ? D’altronde, lo sapevamo che l’interdizione è una camicia di forza, giuridica si intende (almeno questo). Come si potrebbe impedire alla persona di fuggire dal luogo di cura prescelto dal tutore? Con la contenzione ?

Ultimo interrogativo. Possiamo pensare veramente che l’impossibilità (secondo un’interpretazione restrittiva dell’art. 406 c.c.) di attribuire l’incarico vicariale ai servizi sociali che hanno avuto in cura la persona – limitazione non contemplata per il tutore – giustifichi di per sé il ricorso all’interdizione, in cui quel divieto non vige?
A chi legge, le risposte (r.r.).

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