Quello svoltosi a Merano il 16 novembre scorso può dirsi il primo convegno in materia di amministrazione di sostegno (perlomeno il primo tra quelli a noi noti) centrato sulla questione specifica dell’abrogazione delle vecchie misure incapacitanti; e tale impostazione appare ben evidente nel titolo: “Nuove forme di tutela dei soggetti deboli. Il superamento dell’interdizione e dell’inabilitazione”.
Chiara, di conseguenza, la consegna per i relatori: esprimere motivatamente un ‘sì’ o un ‘no’ rispetto alla proposta di cancellare definitivamente dall’ordinamento l’interdizione e l’inabilitazione, ovverosia, per usare l’eloquente metafora di Lorenzo Toresini, alla proposta di “bruciare le navi” (per chi volesse approfondire, la proposta è già disegno di legge di iniziativa parlamentare: PDL n. 2972).
Prevedibile la posizione espressa dal gruppo dei relatori di ‘Persona e Danno’, come pure quella del basagliano primario dei Servizi di Salute Mentale (il dr. Toresini, appunto); prevedibile, eppure forte, risoluta. Ne esce una voce compatta e vigorosa nell’esprimere un “no” senza mezzi termini alla conservazione delle vecchie misure incapacitanti.
Ma, le sorprese giungono dagli esponenti della ‘giustizia meranese’, i cui interventi lasciano stordito e sconcertato l’uditorio, per più di un motivo.
Intanto, e in primo luogo, per la posizione espressa dalla Procura, che ha esordito e ‘tirato avanti’ con una serie di argomentazioni per nulla convincenti, ascoltando le quali poteva perfino dubitarsi dell’ esatta comprensione della riforma e del suo funzionamento; argomentazioni che ci si potrebbe al limite aspettare da chi sia del tutto ignaro del meccanismo su cui si regge il nuovo sistema di protezione.
A Merano, comunque – questo ci viene spiegato – le cose funzionano così: qualunque segnalazione di una situazione di bisogno che giunge alla Procura si trasforma in procedimento di interdizione, ipso iure; si vedrà poi, strada facendo, lo vedrà cioè il tribunale se sia il caso di trasmettere gli atti al giudice tutelare per l’attivazione dell’AdS; avviene, cioè, esattamente il contrario di ciò che vuole la riforma: l’interdizione come istituto principe, di applicazione generale, salva la possibilità di tramutare il tutto in amministrazione di sostegno, se ed in quanto si tratti di uno di quei casi in cui questa può fare la sua parte.
Ma, anche a non voler considerare questo aspetto, si immagini quanto tempo dovrà passare prima che un caso gestibile (a giudizio della Procura) con l’ AdS possa giungere all’attenzione del giudice tutelare!
Dopo questo e altro (su cui non val la pena soffermarsi) il relatore tira le somme del suo discorso, e conclude, più o meno così: l’iniziativa di oggi è comunque utile, servirà anche a me per capire meglio; ad ogni buon conto mi farò portavoce presso i miei superiori affinché si abbandoni questa prassi di attivare comunque e sempre procedimenti di interdizione.
Parole elogiative per il nuovo istituto provengono invece dal giudice tutelare di Merano, che esprime senza mezzi termini l’opportunità di togliere di mezzo l’inabilitazione, una misura di protezione che non ha più senso – puntualizza più volte – dopo l’ avvento dell’amministrazione di sostegno.
Riguardo all’interdizione, non si riesce in verità a cogliere – nella relazione del g.t. – una presa di posizione altrettanto netta; per meglio dire, la premessa che regge questa parte dell’intervento è che – quanto all’interdizione – la scelta va compiuta caso per caso; d’altra parte, la casistica che viene proposta a seguire nell’esposizione si rivela sufficientemente ampia e tale da rassicurare. Tutto sommato, se ne può trarre un orientamento favorevole all’applicazione estesa della nuova misura.
Cosa concludere, dunque? Che vi sono atteggiamenti contrapposti, e un poco schizofrenici, nelle aule giudiziarie altoatesine, e ciò non può che andare a discapito dei soggetti deboli, per i quali molto dipenderà dalla sede prescelta in concreto per domandare protezione.
E quale insegnamento trarne, allora? Il seguente, quanto meno, da valere soprattutto per gli operatori socio-sanitari, la cui iniziativa si muove – sulla carta – tra due possibili opzioni: segnalazione al p.m. o ricorso diretto al g.t.
Bene, allora, la miglior cosa da farsi a Merano e dintorni, da qui in avanti, sarà quella di andare dritto dritto all’ufficio del g.t., domandando qui l’attivazione dell’AdS; tralasciando, invece, l’altra opzione dell’art. 406 c.c., che condurrebbe nelle grinfie del vecchio sistema, con l’elevato rischio di avvio di un procedimento di interdizione.
Verosimilmente, anche la prima strada non sarà scevra da difficoltà se è vero, come pure è emerso nel convegno, che vi è tutta una serie di paletti atti a far sì che l’interessato si avvalga di un difensore per predisporre il ricorso. Ma, insomma, confidiamo che il dibattito che si è svolto anche su questo ulteriore aspetto porti a rivedere certe posizioni eccessivamente rigide.
Chissà, in definitiva, cosa rimarrà di questa giornata di confronto (anche piuttosto acceso ed animato, in certi momenti): peccato però che il procuratore ed il giudice tutelare non si siano incontrati! Del resto, poi, parlavano lingue diverse.