L’obbligo dei genitori di mantenere i figli, di cui all’articolo 148 c.c., non termina ipso facto al raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura finché il figlio non abbia conseguito l’indipendenza economica, ovvero venga provato che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa sia dovuto ad un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso. L’accertamento di tali carenze si ispira necessariamente a criteri di relatività, in quanto legato anche alle aspirazioni, al percorso scolastico e alla situazione del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e specializzazione.
Questo il nucleo della recente pronuncia con la quale la Corte di Cassazione, soffermandosi nuovamente in tema di mantenimento di figli maggiorenni, precisa come, in linea generale, debbano escludersi profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui preparazione, attitudini e interessi erano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre compatibilmente con le condizioni economiche della famiglia.
Allineandosi ai precedenti arresti in materia e conformandosi, altresì, alle motivazioni addotte dalla Corte territoriale, i giudici di Piazza Cavour hanno, così, ritenuto infondato il ricorso promosso dal genitore nei confronti del proprio figlio, maggiorenne, ma ancora non autosufficiente. A corredo della propria richiesta, il primo lamentava l’indolenza del ragazzo per non aver reperito un’occupazione retribuita, né conseguito il diploma di scuola superiore, nonché per l’abbandono dell’attività di bracciantato svolta per due anni presso l’azienda di famiglia.
Gli Ermellini, tuttavia, si mostrano decisamente più miti e malleabili nei confronti del giovane, rilevando che nessun addebito potesse muoversi a quest’ultimo per la mancata prosecuzione dell’attività agricola in vista degli studi legati alle sue aspirazioni artistiche, in quanto la prima si era rivelata non confacente ai suoi reali interessi.
Tuttavia, precisa la Suprema Corte, la giusta dedizione del giovane alla realizzazione delle sue attitudini personali va sì valorizzata, ma non senza porre alcun limite temporale.
Ciò comporta, nel caso di specie, la considerazione che, all’età raggiunta al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, l’impegno profuso dal giovane nella realizzazione delle proprie aspirazioni avrebbe dovuto ragionevolmente tradursi in proficue manifestazioni esteriori, con la conseguenza che a partire da tale momento scatta la cessazione dell’obbligo di mantenimento. (Sonia Anzivino)