Il danno da privazione del ruolo genitoriale: micro rassegna di casi

Scritto il 23 Luglio 2009 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Si parla di privazione del ruolo genitoriale in tutti quei casi in cui uno dei genitori viene ostacolato nel proprio rapporto con il figlio e si trova, di conseguenza, nell’impossibilità di dare e ricevere affetto e cure. Il danno che ne consegue è ben immaginabile.

E’ quanto si verifica non di rado nelle separazioni, con un panorama variegatissimo di situazioni.
L’ordinamento appresta una serie di rimedi, sui quali mi soffermerò oltre.
Preliminarmente, ritengo utile condurre uno spoglio veloce delle fattispecie che si presentano, volta a volta, e che vengono portate all’attenzione del giudice.

Per ragioni espositive, seguirò una suddivisione schematica, e riduttiva senza dubbio.
Del resto, come leggiamo nel bellissimo romanzo di Tolstoj, Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo“.
E noi qui, proprio di queste ultime dobbiamo occuparci, le famiglie infelici.

Distinguiamo, allora:
(a) casi che definirei “eso”, nei quali lo schiacciamento della funzione genitoriale si verifica dall’esterno, per iniziativa illegittima del giudice minorile e dei servizi sociali territoriali. E parlo delle numerose vicende in cui, inaspettatamente e senza neppure un preavviso, il bambino viene prelevato dai Servizi sociali ed allontanato, in un batter d’occhio, dalla famiglia. Con conseguente affidamento a strutture o case-famiglia o famiglie affidatarie;
(b) casi che invece si producono dall’interneo della realtà familiare, e che, pertanto, definirei “endo”. E si tratta, appunto, delle situazioni legate alle vicende separative, in cui uno dei genitori (più spesso il padre) viene messo all’angolo, anzi, estromesso dalla vita affettiva del figlio, su iniziativa – più o meno confessata – dell’altro genitore.

Esaminiamo, ciascuno dei due versanti.

(a) Le fattispecie eso.
Esemplare il caso in cui un minore viene allontanato improvvisamente dalla propria famiglia sulla base di sospetti abusi sessuali, che poi si rivelano infondati, o anche semplicemente sulla base di denunce partire dalla scuola circa presunte ma vaghe inadeguatezze genitoriali.
Certo, in taluni casi l’allontanamento temporaneo può giustificarsi; il problema è la gestione di questo allontanamento e dell’affido etero-familiare.
Il più delle volte passano anni prima che – pur a seguito delle perizie che allontanano i sospetti – vengano ristabiliti i rapporti tra il bambino e i genitori.

Paradigmatico il caso Roda e Bonfatti deciso dalla CEDU nel novembre 2006.
Nel 1998, il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna sospese la potestà genitoriale a carico dei genitori di una bambina, affidando la bambina alla ASL di Mirandola con l’incarico a questa di collocarla in una struttura “protetta”; autorizzava contemporaneamente la ASL a fare ricorso alla forza pubblica per procedere all’allontanamento della minore.
Il procedimento era partito sulla base di alcune dichiarazioni fatte dalla bambina stessa, circa abusi sessuali subiti in case private. Ne era seguita l’incriminazione del di lei padre e di altri parenti, mentre fin dall’inizio la madre non era stata considerata sospetta. Riguardo alla madre, il tribunale per i minorenni aveva però evidenziato una inidoneità protettiva.
La bambina era stata collocata in una struttura protetta e inizialmente interrotti gli incontri anche con la madre, seguiti poi da incontri protetti.
Era seguito procedimento in appello, in cui la madre aveva invocato il ripristino dei rapporti con la propria figlia. Tale domanda era stata accolta, ma i servizi avevano ritardato per mesi e mesi la preparazione degli incontri.
Da qui, il ricorso alla CEDU, la quale ravvisa violazione dell’art. 8 della Convenzione sui diritti dell’uomo.
La CEDU ricorda che tutti gli affidamenti devono essere considerati come una misura temporanea da sospendere nel momento in cui le circostanze cessino e che tutti gli atti di esecuzione devono concorrere con un unico fine: riunire nuovamente il genitore di sangue con il bambino; condanna lo Stato italiano a risarcire 3.000,00 euro per danno morale più le spese legali.

(b) Le fattispecie endo.
La riforma sull’affidamento condiviso – come ben sappiamo – ha apportato qualche cambiamento (occorre riconoscerlo), certamente in senso migliorativo – ma tanta strada deve ancora essere percorsa.
E questo va detto sia riguardo alla sensibilità degli operatori, avvocati e giudici, i quali, purtroppo, sono ancorati, tutt’oggi, ad una visione borbonica, retriva dei ruoli genitoriali; come pure riguardo ai margini di miglioramento che la stessa disciplina legislativa presenta.
Le vicissitudini che il genitore non collocatario dei figli si trova a dover attraversare sono innumerevoli e di vario genere:

(a.1.) Quando il bambino è ancora molto piccolo,
rifiuti palesi, espressi al genitore non collocatario, allorchè si presenta alla porta dell’altro, nel giorno stabilito.
Tante le motivazioni: non è in grado di occuparsene; non l’ha mai fatto; il bambino è troppo piccolo, non è un pacco postale, quando va in braccio del papà piange, di fatto non lo conosce……. l’ha detto il pediatra, lo psicologo ….
– la madre scende per consegnare il bambino al padre, e si presenta con il bimbo avvinghiato a lei; la madre fa pure il gesto di consegnarlo, ma si guarda bene dall’allentare la presa, e il bambino corrisponde questo gesto, facendo altrettanto.

(a.2.) Quando il bambino è un po’ più grande d’età(ma già a partire anche dai 4<>5 anni.
rifiuto manifestato dal bambino stesso, e qui la situazione si fa anche più grave e dolorosa. Bambini indotti cioè – e le strategie sono anche qui di vario genere – a rifiutare l’altro genitore.
E qui il genitore rifiutato mostra in generale (ma sempre schematizzando) due atteggiamenti:
–  reazione forte e decisa, ovverosia ricorso al giudice. E qui il problema che speso insorge è legato ai tempi della giustizia: mesi di attesa per la convocazione delle parti, mesi ancora per le verifiche dei servizi sociali, mesi poi per la decisione. E nel frattempo, nulla cambia. Il condizionamento sul bambino rifiutante diviene sempre più incisivo ed irreversibile. Fino a dare luogo a vere e proprie sindromi – PAS;
–     reazione timida, soprattutto rispettosa di quello che parrebbe essere l’effettivo volere del figlio. Il genitore qui non ha il coraggio di osare, di reagire, e poi – perchè magari glielo suggerisce l’avvocato – spera che sia un momento, che passerà, torneranno i giorni felici. Spesso questa speranza si rivela vana …
–    reazione cd.deviante“, perchè poi è questo il giudizio che ne discende a carico di chi reagisce in tal modo. Sono i padri (soprattutto padri) che, dopo avere domandato aiuto a tutti gli operatori – servizi e giudici – vedendo che non cambia nulla, divengono oppositivi: agli incontri con gli operatori sociali si arrabbiano, parlano male dell’altro genitore ( e come potrebbero non farlo?) ed entrano in conflitto, altresì, con gli operatori; oppure, disertano gli incontri con gli operatori. Bene, costoro sono destinati a venire tacciati di devianza, di rigidità mentale, di prepotenza anche, di problemi della loro giovinezza irrisolti e via dicendo. Uno stigma ben difficile da eliminare!

E quali gli atteggiamenti condizionanti del genitore convivente con il figlio?

Ne abbiamo un catalogo assai composito:  vai pure con papà, non preoccuparti per la mamma, sai? Se hai bisogni telefonami pure, in ogni momento. La mamma starà a casa da sola, ma quando tornerai faremo tante cose insieme.
E le telefonate, poi. Cellulari perennemente spenti, telefoni di casa che fanno pressochè sempre “tut, tut…” E, allorchè la cornetta viene passata al bambino, è proprio l’ora della cena, la pasta si raffredda o ci sono i compiti da finire, etc etc etc.

(a.3.) poi c’è l’ adolescente o pre-adolescente, quello cioè che (per usare il linguaggio della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo) può dirsi capace di discernimento, e che può/deve essere ascoltato dal giudice.Qui, è sufficiente che il giudice – direttamente o con l’ausilio del CTU – raccolga un rifiuto espresso e convinto del minore, nel senso di non voler più incontrare l’altro genitore, e il gioco è fatto, cioè il misfatto è compiuto.