Come noto, il I comma dell’art. 411 c.c. non contempla espressamente, tra le norme applicabili all’Ads, la disposizione dell’art. 371 c.c.; il riferimento testuale è, infatti, limitato ai due corpi di norme compresi, rispettivamente, tra gli artt. 349/353 e 374/ 388 c.c.
Da qui sono scaturite interpretazioni restrittive, rigidamente ancorate al dato letterale, e, nella law in action, corrispondenti posizioni di chiusura; con riflessi di segno negativo nel perseguimento degli obiettivi della riforma.
Si tende ad escludere, così – presso talune sedi giudiziarie (per quanto sia notizia circolata in sede di formazione decentrata dei magistrati, senza il corredo di veri e propri riscontri giurisprudenziali) – che la scelta del luogo di cura del disabile psichico possa essere attribuita ai poteri di rappresentanza dell’amministratore di sostegno; e la motivazione è, appunto, quella che si tratterebbe di profilo gestorio rientrante nella previsione dell’art. 371 c.c., non estensibile al comparto dell’Ads.
Il peggio è che tale interpretazione, là dove ha preso corpo, ha condotto a scelte rinunciatarie riguardo alla stessa attivazione dell’ Ads, in quanto (questa, nella sostanza, la motivazione) tramite essa non sarebbe possibile addivenire alla scelta del luogo di cura, scelta che, al contrario, rientra nei poteri del tutore dell’interdetto; da qui – e l’esito che si annuncia è fin troppo chiaro – la necessità di procedere ad interdizione.
Come già verificatosi a proposito di altri profili del neo-sistema, è però intervenuta, di recente, una pronuncia modenese a fare chiarezza, con un’apertura che si connota per la condivisibile presa di distanza da una sterile lettura formalistica del dato disciplinare; lettura da sconsigliarsi decisamente in un comparto del diritto che punta fiduciosamente, invece, sul motivo promozionale e della cura personae, quali connotazioni peculiari dello strumento introdotto nel 2004.