“Il semplice fatto che uno dei genitori sia omosessuale non giustifica – e non consente di motivare – la scelta restrittiva dell’affidamento esclusivo“. Con queste parole il tribunale di Bologna ha disposto l’affidamento condiviso di una bambina ad entrambi i genitori, uno dei quali, il padre, dopo anni di matrimonio aveva compreso e coraggiosamente affrontato la propria reale identità sessuale.
Da controparte, per la verità, solo generiche affermazioni circa la presunta inadeguatezza e disinteresse del padre nei confronti della figlia, tese, invero, a mascherare una non troppo velata diffidenza, un non troppo celato pregiudizio.
Altre e di ben altro tenore sono, tuttavia, le valutazioni che il giudice è chiamato a compiere onde, eventualmente, derogare alla regola generale sancita dall’art. 155 c.c. e disporre l’affidamento monogenitoriale della prole.
La contrarietà all’interesse del minore non può certo ritenersi insita nella identità omosessuale del genitore, così come non può esserlo nelle “opzioni politiche, culturali, religiose, che pure sono di per sé irrilevanti ai fini dell’affidamento” (Trib. Napoli 28.06.2006, GM, 2007, 178), poiché “l’omosessualità, infatti, e beninteso, è una condizione personale, e non certo una patologia, così come le condotte – relazioni omosessuali non presentano, di per sé, alcun fattore di rischio o di disvalore giuridico, rispetto a quelle eterosessuali” (idem).
Il tribunale partenopeo, alle cui argomentazioni si è richiamato anche il giudice bolognese nel decreto che pubblichiamo, compie affermazioni la cui importanza non può passare inosservata, poiché, tra le altre cose, invita gli operatori del diritto a mettere da parte “stereotipi pseudoculturali, espressione di moralismo e non di principi etici condivisi” badando solo ed esclusivamente, nel decidere dell’affidamento di un minore, all’interesse di quest’ultimo.
E’ quanto ha fatto il tribunale emiliano, ritenendo nel caso concreto che entrambi i genitori fossero idonei a svolgere il loro ruolo, pur invitandoli ad affrontare insieme il delicato momento della presentazione alla figlia dell’identità sessuale paterna.
Ma il giudice bolognese ha compiuto un ulteriore passo, autorizzando nel medesimo decreto il padre a condurre con sé la bambina in vacanza, in una località osteggiata dalla madre in quanto, a suo dire, frequentata esclusivamente da gay e, quindi, pericolosa per l’equilibrio della minore che avrebbe potuto assistere a scene “non adeguate” (sic!). Quasi a dire che la condizione di omosessualità possa far perdere all’individuo qualsiasi freno inibitore, qualsiasi remora a compiere gesti ambigui e “perversi” e, addirittura, in presenza dei figli.
Bene, questo tipo di pregiudizi e mediocri moralismi non devono trovare spazio in tribunale, ove l’idoneità del genitore in rapporto alla tutela dell’interesse dei figli è l’unica questione da affrontare nel decidere dell’affidamento e della frequentazione.
Il padre gay, quindi, salvo non dimostri di essere persona per altre ragioni inadeguata – non diversamente che un eterosessuale – è non solo genitore meritevole di ottenere l’affidamento condiviso della propria figlia, ma è perfettamente in grado di “rispettare le esigenze e i diritti della figlia, di condurla in ambienti e di garantirle orari e stili di vita adeguati alla sua età” e di “assumere pienamente la responsabilità genitoriale, compito cui è chiamato alla pari della madre”. Il rispetto di tali esigenze è il solo obiettivo del giudizio di idoneità genitoriale, ed esso riguarda tutti i genitori, omo o etero-sessuali che essi siano, in qualunque posto si trovino a vivere e a trascorrere le vacanze.
Il decreto del tribunale di Bologna presenta i tratti di una tappa rispettosa e discreta ma inesorabile nel segno del progresso della società.
Per quanto riguarda l’ affermazione della “neutralità e naturalità” della condizione omosessuale possiamo forse dire che il diritto, o per meglio dire, la giurisprudenza si mostra anticipatrice ed in vantaggio rispetto ad una società tuttora ancorata a (falsi) moralismi e (vera) insincerità, che si focalizza sul “diverso” per distogliere la mente dal “reale”. In ciò appoggiata, sia concesso, da una Chiesa talvolta invadente e che spesso dimentica il proprio stesso insegnamento, per cui la natura umana altro non è che il riflesso di quella “divina”, da cui è creata a propria immagine e somiglianza.
Tornando alla “terra”, si segnalano le pronunce della Corte di Appello di Brescia 5.06.07 e della Cassazione 25.7.07, n. 16417, la prima che nega che il tradimento omosessuale del coniuge sia dotato di una lesività e offensività intrinseca tale da giustificare di per sé oltre all’addebito della separazione anche il risarcimento del danno alla moglie tradita, la seconda che definisce (finalmente) l’omosessualità come “condizione dell’uomo degna di tutela in conformità ai precetti costituzionali” e manifestazione del “diritto alla realizzazione della propria personalità”. Come fa ben sperare anche il decreto del tribunale di Bologna, la strada è aperta, bisogna solo avere le scarpe giuste per percorrerla.
E, se “soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità” (P. Neruda, Ode alla vita), possiamo credere che la felicità del padre “protagonista” del provvedimento in commento sarà davvero grande, come pure quella di tutti gli omosessuali (e “diversi” in genere, si passi il brutto termine) che della pazienza, ogni giorno, fanno la loro fedele compagna. (L.B.)