Condanna al risarcimento per la madre che impedisce al figlio di vedere il papà

Scritto il 29 Agosto 2007 in Dc-Rapporti tra genitori e figli

Nel caso di specie, ad adire la Corte d’Appello è un padre, ostacolato dalla ex consorte nel desiderio di frequentare il figlio minore, peraltro secondo modalità stabilite con precisione dal Tribunale.

I giudici fiorentini, applicando per la prima volta in grado d’appello il disposto di cui all’art. 709 ter c.p.c., hanno condannato una madre divorziata, inadempiente rispetto ai provvedimenti stabiliti dal Tribunale, a pagare Euro 650,00 al figlio minore (da depositare con libretto vincolato a favore del ragazzo) ed Euro 350,00 al marito, il tutto a titolo di risarcimento danni.

La sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Firenze merita attenzione in quanto rappresenta un concreto passo verso una effettiva e corretta attuazione dei provvedimenti di affidamento della prole, nonché degli obblighi ad esso inerenti, ratio ispiratrice del “novello” art. 709 ter c.p.c. (introdotto nel codice di rito nel 2006 grazie alla legge n. 54, cd. “sull’affido condiviso”).

Che cosa stabilisce, in concreto, detta innovativa norma?

Essa prevede che, in presenza del mancato rispetto delle modalità di affidamento o, comunque, di atti in pregiudizio della prole, (“laddove si verifichino gravi inadempienze od atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”), il giudice possa intervenire, se richiesto.

In primo luogo, il giudice può ammonire il genitore inadempiente, ma può altresì disporne la formale condanna al risarcimento dei danni, da corrispondersi tanto nei confronti dell’altro genitore-danneggiato, quanto del minore stesso cui, a causa della condotta censurata, viene parimenti arrecato pregiudizio.

Da ultimo, può condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria (il cui importo minimo è fissato in Euro 75,00 fino ad un massimo di Euro 5,000) in favore della Cassa delle ammende.

E’ interessante, in ogni caso, notare come alla base di questa innovativa disposizione vi sia l’intento di contrastare inottemperanze alle disposizioni dettate in materia di affidamento della prole e, in definitiva, di preservare la serenità dei figli e del genitore non convivente.

Non di rado accade, infatti, che il genitore collocatario in via privilegiata del minore (nella pratica, la collocazione alternata presso ciascun genitore è, per diverse ragioni, difficilmente attuabile in concreto), approfitti di tale circostanza per “colpire” l’ex coniuge, attraverso comportamenti più o meno apertamente ostruzionistici, ad esempio impedendogli di vedere il bambino od instillando subdolamente nel minore sentimenti di distacco affettivo.

Il concetto sopra illustrato risulta percepibile nelle parole dei giudici fiorentini, i quali ritengono che la condotta della madre “[…] costituisca violazione delle statuizioni espresse dal Tribunale e che ciò arrechi nocumento alla corretta crescita della personalità del minore, ledendo altresì il diritto del padre al rapporto con il figlio”.

E, ancora, è bene notare che, nel caso de quo, il danno causato al figlio per la privazione della frequentazione paterna è stato ravvisato in re ipsa, ovvero nella pura e semplice circostanza che al bambino sia stato impedito di vedere il genitore.

I giudici, dunque, nel ritenere che sottrarre il bambino all’imprescindibile rapporto con papà o mamma comporti, come diretta conseguenza, un tangibile danno, mostrano di farsi interpreti in maniera accurata e sensibile della ratio ispiratrice della legge n. 54/2006, ovvero quella di privilegiare il sano e corretto sviluppo psico-fisico della prole, specie nelle situazioni di crisi familiare il cui il rischio di compromissione della serenità è più che mai elevato.

Si auspica, dunque, che grazie agli strumenti previsti ex art 709 ter c.p.c., i Giudici possano farsi sempre più effettivi garanti del benessere dei vari componenti della famiglia scoraggiando, nel tempo, arbitri e abusi portatori di immancabili pregiudizi alle prerogative fondamentali delle persone.